Mappa Gevrey

Giocare a zona

Oggi vado in Borgogna. Qualche giorno di assaggi, indagini e incontri con un’attesissima coda in Beaujolais da Jean Claude Chanudet del Domaine Joseph Chamonard. Prima di partire tra una visita e l’altra ho cercato di studiare molto, di essere all’altezza del territorio che vado ad incontrare. Il confronto con il mito richiede il massimo delle proprie possibilità. Ho letto due libri che parlano di Borgogna. Credo il migliore pubblicato in Italia fino a ora, Vini e Terre di Borgogna *, edito da ArteVino e scritto dal produttore piemontese Camillo Favaro  con il compagno di avventura su questo portale, Giampaolo Gravina. E il monumentale Inside Burgundy di Jasper Morris pubblicato da Berry Bros and Rudd. Libri preziosi perché trasmettono in modo chiaro il legame tra geografia e vino di qualità. Certo, in Borgogna questo è patrimonio condiviso e pietra angolare del tempio del vino a cui noi fedeli enofili praticanti ci rivolgiamo con massima devozione.

Con lo stesso sentimento mi rivolgo alle Langhe, dove andrò per circa due mesi, dopo i giorni francesi, ma ahimé chiuso in ufficio a scrivere, insieme ai colleghi di Slow Wine *, la prossima Guida. Da Bra, si intravedono Verduno e La Morra, due dei comuni che concorrono alla luminosità sempre più abbacinante del Barolo, vino la cui denominazione, unitamente a quella del Barbaresco, costituisce il nostro miglior paragone alla grandezza francese. Anche qui ricordo con nostalgia le ore passate sull’Atlante delle Vigne di Langa pubblicato da Slow Food Editore, a ripassare le parcelle, i produttori e tutto ciò che poteva contribuire ad alimentare un amore nascente.

Si deve mappare l’Italia del vino. Fino ad Alessandro Masnaghetti e alla sua opera meritoria che prende il nome di Enogea *, le vigne italiane sono state celate agli occhi degli appassionati. I territori, le antiche vocazioni, le scelte contadine di piantare la vite erano state trascurate da un’enologia troppo attenta alla cantina e poco all’origine. È tempo che la frase “il vino si fa in vigna” non sia più salutata con un sorriso ironico condiviso da chi pronuncia e da chi ascolta, ma assuma di nuovo il suo fragoroso significato.

Così dovrà essere per la Campania. Le potenzialità qualitative ormai acclarate non possono prescindere da una geografia viticola chiara che non sia più patrimonio esclusivo dei produttori ma divenga, e soprattutto sia comunicata, come condizione minima necessaria della qualità enologica espressa. Penso ancora una volta all’Irpinia. Insieme alla crescita qualitativa delle aziende viticole, ormai ricchezza comune di appassionati e professionisti, deve corrispondere una divulgazione geografica delle aree viticole di appartenenza.

Attualmente molti realtà irpine possiedono vigne o comprano uve da versanti disparati ma conosciuti, ancora localmente, per la loro estrema vocazione. Nomi che su questo portale avete imparato a conoscere hanno una visione esatta del mosaico viticolo irpino, del quale esaltano le migliori inclinazioni. Credo sia il momento in questa fase qualitativa ascendente, dal punto di vista non solo economico ma anche culturale, di dare valore non solo al vino e al produttore, ma anche alla terra.

Quello che conta non è quindi una gerarchia dei vigneti, fatto di per sé molto difficile da realizzare fuori dal Piemonte, che si ripercuota sul prezzo del vino, bensì si tratta di infondere nella consapevolezza comune una conoscenza agricola, se così vogliamo chiamarla, del valore del suolo che protegga, valorizzi, renda consapevoli le generazioni futuro di un bene comune.

Auspico un volume che odora di carta in cui sia riportato il vigneto campano con i suoi toponimi. Dalla geografia reale della denominazione, che è lavoro e non politica, inizierà la reale promozione dell’eccellenza viticola irpina. I produttori lo stanno facendo, noi comunicando, il resto è da vedere.

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L'Autore

Fabio Pracchia

Fabio Pracchia

Nato a Lucca nel 1973, lavora nel mondo del vino da circa vent’anni. Una dimensione totalizzante vissuta da diverse prospettiva, da operaio in vigna ad enoteca rio, da assaggiatore professionale a redattore. Dal 2009 collabora con i nuovi progetti editoriali di Slow Food, a cominciare dalla guida Slowine, dove il racconto della qualità organolettica è strettamente legata agli aspetti etici ed umani della produzione vitivinicola italiana.
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