Villa Diamante - La Congregazione '12

Villa Diamante, Fiano La Congregazione Igp 2012: l’assaggio

Qualche settimana fa ci siamo occupati su queste pagine delle vicende relative alla “bocciatura” di due etichette irpine ben conosciute da operatori e appassionati, da parte della Commissione di assaggio a cui spetta il compito di certificare la conformità analitica, tecnica e territoriale per il rilascio della Docg.

Come raccontato, sono uscite con la menzione “declassata” Campania Fiano Igp le versioni 2012 del Particella 928 di Cantina del Barone (link) e del La Congregazione (non è possibile indicare il termine Vigna in etichetta su una Igp) di Villa Diamante (link). Nel primo post, quello sul vino di Luigi Sarno, avevamo provato ad integrare la discussione con alcune considerazioni acquisite attraverso una serie di assaggi effettuati a partire da novembre 2013. Nel secondo ci siamo limitati alla “fredda cronaca”, riportando le opinioni di Antoine Gaita e rilanciando alcune domande, senza entrare nel merito organolettico del vino in questione. Avevo avuto modo, infatti, di assaggiare il Congregazione 2012 soltanto in cantina, quando era ancora in affinamento sur lie in vasca, e mi ero riservato di tornarci su dopo averne recuperato un campione “definitivo”, imbottigliato e commercializzato.

Ed eccolo qua, finalmente, questo Fiano di Avellino senza fascetta che sta inevitabilmente suscitando la curiosità di tanti addetti ai lavori, clienti e consumatori. Senza perdere tempo in chiacchiere, si tratta di un vino oggettivamente spiazzante sulle prime, con note di testa a segnalare immediatamente la fermentazione spontanea, per la prima volta adottata nella cantina di Montefredane. Sensazioni quasi “birrose”, per capirci, che rapidamente arretrano dopo qualche giro di bicchiere, lasciando spazio ad un cuore aromatico decisamente più classico, tra gli agrumi e il polline, il muschio e la pesca gialla. E’ forse questo l’aspetto che mi ha maggiormente colpito e sorpreso: a differenza di tanti vini realizzati con lieviti incogniti assaggiati in questi mesi (sempre più numerosi, in varie zone d’Italia), l’impronta “wild” si mostra come solo una delle componenti, non necessariamente la più prepotente o invasiva. Senza schiacciare, senza appiattire, senza omologare il profilo, come molte volte accade.

Piccoli dubbi formali, insomma, definitivamente spazzati via da una bocca carica di energia, con uno scheletro sapido capace di occupare tutti gli spazi e di distendersi tanto in larghezza quanto in profondità. Fiano di pancia, più che di testa, solido e appagante, che trova probabilmente nella leggerezza di beva la sua dote migliore.

Impressioni confermate e perfino rafforzate dai riassaggi a bottiglia aperta: nessuna sporcatura ossidativa dopo 24 e 48 ore dalla stappatura, là dove prendono la scena con maggiore forza le suggestioni iodate e selvatiche, tra risacca, scoglio, latte di bufala, prato estivo, ritorni di frutto rosso, quasi di lambic, come a chiudere il cerchio della fermentazione spontanea.

Un vino così si presta naturalmente a letture molto diverse, anche legittimamente polarizzate. Una cosa è certa: il 2012 è un (Vigna) Congregazione piuttosto diverso da un punto di vista espressivo rispetto a quelli a cui Antoine Gaita e Diamante Renna ci hanno abituato dalla prima uscita del 1997. Quando intervengono cambiamenti stilistici così visibili su etichette di riconosciuta storia e prestigio, quasi sempre si innescano reazioni a dir poco controverse nel pubblico di operatori e appassionati. Da una parte c’è chi rimpiange il “vecchio” cru di Villa Diamante, ammesso che sia una rimodulazione “definitiva”, dall’altra non mancano le voci autorevoli che dichiarano di sentirsi maggiormente in sintonia con questo nuovo percorso. Di sicuro Antoine ha fatto una scelta coraggiosa e dal mio punto di vista ammirevole, decidendo di imboccare una strada grammaticalmente più rischiosa, ma dimostrando anche di non avere nessuna voglia di adagiarsi sugli allori. Nonostante un folto gruppo di estimatori e quasi di “fan”, nonostante i tanti riconoscimenti di critica e mercato, chi ha avuto modo di frequentare la cantina di Montefredane in questi anni sa bene quanto sia sempre stato centrale per il vigneron irpino-belga il desiderio di studiare, sperimentare, personalizzare il proprio lavoro senza legarsi a protocolli enologici prestabiliti una volta e per tutte. Nel bene e nel male: costanza e continuità di rendimento non sono probabilmente le prime parole che mi vengono in mente quando penso ai Fiano di Villa Diamante, ma gli ho sempre riconosciuto un’innegabile forza identitaria, comprese le versioni a mio avviso meno riuscite. Anche chi lo ha assaggiato in poche occasioni, ci mette di solito pochi secondi ad individuarlo nelle orizzontali coperte dedicate alla denominazione, aiutato da quelle sensazioni affumicate efficacemente sintetizzate nel descrittore “farina di castagne”, ormai codificato grazie alle intuizioni di Luca Mazzoleni e Fabio Cimmino.

Villa Diamante - La Congregazione '12 (retro)

Non sono in grado al momento di dire se sento maggiormente nelle mie corde il “vecchio” o il “nuovo” Vigna della Congregazione, per continuare a giocare con le dicotomie. Considero la 2002 (oggi un po’ in calo), 2006, 2008 e 2010 autentici capisaldi della denominazione e tra i migliori bianchi prodotti in Italia nell’ultimo decennio, o poco più. Sono più tiepido su altri millesimi, ma soprattutto mi è capitato a volte di faticare un po’ a tavola con versioni dalla timbrica affumicata troppo insistita e per me in qualche modo monocorde. Ferma restando la grande personalità aromatica e gustativa, mi sono reso conto di preferire solitamente altre idee di Fiano, non solo di Montefredane, più luminosi e verticali, giocati sulla freschezza agrumata e officinale più che sulla grassezza saporosa tipica del cru di Villa Diamante. Non è detto che mi piaccia meno, insomma, il Congregazione 2.0 che si delinea con la vendemmia 2012, indubbiamente più anarchico nell’impostazione espressiva, ma come detto sorprendente per naturalezza e facilità del sorso, per molti versi maggiormente in linea con i miei gusti. Sarebbe in ogni caso ingenuo ed affrettato trarre conclusioni tranchant, in un senso o in un altro, dopo aver assaggiato per bene un’unica bottiglia di un’unica annata. Non vedo l’ora, ad esempio, di confrontarmi con il 2013 che sta affinando in cantina per provare a farmi un’idea più precisa di questo tragitto.

Qualunque siano le preferenze personali, mi pare chiaro le vicende da cui siamo partiti disegnino due piani di ragionamento ben distinti. Se parliamo della singola etichetta e del rapporto che si manifesta tra il Congregazione 2012 e i suoi “fratelli di cantina”, credo siano legittime tutte le posizioni. Possono avere le loro ragioni sia quelli che esprimono “delusione” per l’ultima uscita firmata da Antoine Gaita, sia quelli che la considerano testimonianza di un ulteriore passo in avanti in termini di consapevolezza stilistica e identità territoriale. I gusti personali sono sacrosanti e nessuno può permettersi di dire chi ha ragione e chi torto, ammesso che abbia senso anche solo provarci.
Ma tutto questo non ha nulla a che fare con i meccanismi che autorizzano la rivendicazione di una denominazione. Riassaggio alla mano, risulta ancora più incomprensibile (e non solo a me) la decisione della Commissione di negare la fascetta al vino in questione. Quelle «evidenti anomalie» segnalate dai verbali non trovano per quanto mi riguarda riscontro, a meno che non si voglia identificare come difetto tecnico quel profilo aromatico un po’ selvaggio, ma passeggero e non univoco, che provavo a raccontare. E continuo a pensare che ci voglia molto coraggio per sostenere davanti ad un bicchiere di Congregazione 2012 che non si tratti di un’espressione pienamente riconoscibile del fiano irpino, e perdipiù di una sottozone ben precisa.

A volte sembra ci si dimentichi che il vino lo fanno vigneron ed enologi, ma lo comprano e lo bevono le “persone normali”. E forse vale la pena di chiedersi se sia giusto attribuire la responsabilità della certificazione ad una commissione più o meno titolata senza stabilire con minuziosa puntualità i confini di quello che si definisce “correttezza” in un vino e ciò che non lo è, dando per scontate la salubrità del contenuto e la conformità analitica stabilita per legge. Sono questioni di cui si discute da molto tempo in tante altre aree viticole prestigiose, in Italia ma soprattutto in Francia, e che stanno mobilitando alcuni dei più importanti protagonisti del vino europeo, oltre che una folta e preparata comunità di buyers ed enoappassionati. Tematiche che iniziano a trovare spazio solo adesso in un distretto giovane come quello campano, grazie soprattutto ad una nuova generazione di agronomi, tecnici, interpreti, assaggiatori, ristoratori, sommelier, enotecari che hanno avuto modo di allargare il proprio orizzonte di bevute, esperienze e viaggi. Non deve dunque stupire la sostanziale indifferenza che la vicenda ha suscitato nella maggior parte dei produttori della regione, probabilmente convinti si tratti di un incidente personale, che riguarda solo Villa Diamante. L’idea delle denominazioni come bene collettivo è molto lontana dal costruirsi e consolidarsi nelle diverse zone campane, e la provincia di Avellino non fa eccezione da questo punto di vista.

Antoine Gaita, vigneron a Montefredane (AV)

Antoine Gaita, vigneron a Montefredane (AV)

Ma non meraviglia nemmeno l’atteggiamento di quegli operatori dell’informazione locale che hanno dato scarso rilievo alla faccenda o l’hanno addirittura sottolineata con compiacimento. Quei “giornalisti-assessori” storicamente attenti a non disturbare il manovratore e particolarmente abili a proporsi come difensori dello status quo. Che si sentono naturalmente in dovere di difendere l’operato delle commissioni e attaccare strumentalmente chi si interroga sulla loro affidabilità e soprattutto sulla chiarezza delle procedure, riducendo tutto ad un affare di ruoli e titoli professionali. C’è da capirli: non è facile schierarsi contro figure con cui ci si ritrova alla stessa tavola rotonda, evento o convegno un giorno sì e un giorno no. Ma sarebbe soprattutto ingenuo pretendere argomentazioni al posto di sbeffeggiamenti da chi, nonostante anni di esperienza, si dimostra totalmente impreparato da un punto di vista tecnico e sprovvisto della pur minima prospettiva critica. Fosse per loro, staremmo ancora a cercare luccicanti Fiano alla banana identici a loro stessi tutti gli anni, spacciati come il meglio della denominazione; bianchi con la fascetta segnalati come campioni di tipicità e rivelatisi con precisione documentale di tutt’altra origine territoriale e varietale. Oppure liquidi “tecnicamente irreprensibili”, almeno in base a quanto gli spiegano coloro con cui vanno a braccetto, che però potrebbero venire da qualsiasi parte e vitigno del mondo. Presi ad esempio come modello e come misura per suggerire che sì, in fondo, Antoine la bocciatura se l’è meritata.

Ci si può attendere qualcosa di diverso da chi fondamentalmente non ha idea di ciò che esiste a nord del Volturno, non ha mai acquistato una bottiglia in vita propria e non ha idea di cosa significhi per un appassionato costruirsi un percorso di assaggio e acquisto con sacrificio? Con tutta la buona volontà non si riesce invece a comprendere la ratio sillogistica per cui la bocciatura del Congregazione 2012 equivalga ad una stangata al territorio e ai vigneron di Montefredane presi nel loro insieme. E messi lunarmente a confronto con altri comuni della denominazione nella più feudale delle visioni, ad alimentare una guerra di contrade che più anacronistica non si può se pensata in rapporto alle esigenze di compattezza e sinergia legate alle sfide del mercato contemporaneo. Viene il dubbio che ancora una volta non sia la corretta informazione del lettore la prima preoccupazione, ma il bisogno quasi ossessivo di provare a screditare chi si macchia della terribile colpa di proporre approcci e opinioni diverse. Sarebbe interessante sentire cosa ne pensano non soltanto le aziende che hanno sede nel comune di Montefredane (Pietracupa, Traerte-Vadiaperti, oltre a Villa Diamante), ma anche quelle che nell’ultimo decennio hanno investito su queste colline, acquistando vigne ad un prezzo superiore del 10-15% rispetto al valore medio di mercato, definendo contratti di fitto e conferimento uve, riconoscendo uno status di cru alla zona con l’inserimento di etichette dedicate nella propria gamma. Penso a Ciro Picariello, che utilizza uve di Montefredane per metà del blend (con Summonte) nel suo Fiano di Avellino, oppure Villa Raiano (con l’Alimata), le Cantine Sanpaolo, Vigne Guadagno, che propongono Fiano di Montefredane in purezza. Sette aziende importanti operanti su appena 40 ettari totali registrati: se questa è una zona allo sbando, come surrealmente si è letto, credo che altri comuni irpini metterebbero la firma per sentirsi dire la stessa cosa

L’attenzione e la curiosità suscitata in maniera crescente dai vini campani fuori dai confini regionali lascia fortunatamente sempre meno tempo da dedicare a queste miserie umane e professionali. C’è una tale richiesta di informazioni dettagliate, approfondimenti, consigli, progetti, che non è proprio possibile disperdere energie in beghe condominiali, che nulla hanno a che fare con le necessità di una filiera, segnata dalla crisi economica ma potenzialmente in grado di rilanciarsi alla grande, aprendosi al mondo. Lo sanno i produttori, lo sanno gli operatori commerciali, dovrebbero saperlo i giornalisti: il tempo dei tornei di quartiere sono finiti, l’unico modo per dare una futuribilità ai migliori distretti campani (e una prospettiva alle future generazioni) è quella di andarsi a giocare fino in fondo le proprie carte in un’ideale Champions League vinicola. Nel bene e nel male, perché a New York o a Singapore l’unica cosa che conta è il livello, la riconoscibilità e l’unicità della tua proposta: confrontata ai Messi, i Cristiano Ronaldo e gli Higuain di un Montrachet, un Le Clos, un Sonnenuhr, non certo a mezze figure nostalgicamente attaccate a baruffe da sagra provinciale.

Aziende operanti a Montefredane
Vini premiati dalle principali Guide italiane nelle rispettive edizioni 2014

Cinque Grappoli Ais – Bibenda

Fiano di Avellino 2011 – Ciro Picariello
Fiano di Avellino Alimata 2012 – Villa Raiano
Fiano di Avellino Vigna della Congregazione 2011 – Villa Diamante
Irpinia Coda di Volpe Torama 2012 – Vadiaperti-Traerte

Tre Bicchieri Gambero Rosso

Fiano di Avellino 2012 – Pietracupa

Cinque Bottiglie – Eccellenze – Guida I Vini d’Italia Espresso

Fiano di Avellino 2012 – Pietracupa
Fiano di Avellino Aipierti 2012 – Vadiaperti-Traerte

Slowine

Grande Vino: Fiano di Avellino 2012 – Pietracupa
Vino Slow: Fiano di Avellino 2011 –Ciro Picariello
Vino Slow: Fiano di Avellino Vigna della Congregazione 2011 – Villa Diamante

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L'Autore

Paolo De Cristofaro

Paolo De Cristofaro

Irpino classe 1978, lavora a tempo pieno nel mondo del vino dal 2003, dopo la laurea in Scienze della Comunicazione e il Master in Comunicazione e Giornalismo Enogastronomico di Gambero Rosso. Giornalista e autore televisivo, collabora per numerose guide, riviste e siti web, tra cui il blog Tipicamente, creato nel 2008 con Antonio Boco e Fabio Pracchia. Attualmente è il responsabile dei contenuti editoriali del progetto Campania Stories, nato da un’esperienza ultradecennale nell’organizzazione degli eventi di promozione dei vini irpini e campani con gli amici di sempre. Dal 2013 collabora con la rivista e il sito di Enogea, fondata da Alessandro Masnaghetti.
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