Il primo giorno di vendemmia rappresenta per un produttore quella che la prima giornata di campionato significa per un tifoso. Dopo tanto “calcio d’agosto” si fa finalmente sul serio e le chiacchiere, i pronostici modello Nostradamus e le pagelle sul mercato lasciano spazio alle partite vere, quelle in cui si gioca e si lotta per i tre punti.
Mai come quest’anno le dinamiche sono state tanto simili: per tutta l’estate abbiamo assistito ad un vero e proprio bombardamento di annunci, previsioni, litigi virtuali, spesso conditi da maledizioni e distinguo, proiezioni funeste senza speranze e ottimismi ad ogni costo. Più ostico del solito, insomma, districarsi in uno scenario agricolo e comunicativo dove convive tutto e il contrario di tutto. E come potrebbe essere altrimenti, considerando l’andamento a dir poco sincopato, non solo da un punto di vista meteorologico, di questi primi otto mesi e mezzo targati 2014. Non è mancato praticamente nulla: bufere, alluvioni, grandinate, sbalzi termici improvvisi, anticicloni africani, diluvi universali, inverni estivi ed estati invernali, primavere primaverili e chi più ne ha, più ne metta.
Un report climatico lineare è a tutti gli effetti impossibile senza entrare in dettagli quasi giornalieri, ma soprattutto senza andare a vedere quello che è successo regione per regione, provincia per provincia, collina per collina. Perché lo stivale si allunga per un migliaio di chilometri, al netto delle isole, e tiene insieme le Alpi e la pianura padana, gli Appennini e oltre settemila chilometri di coste, tre tipologie di clima ufficialmente codificate e infiniti variabili pedologiche e ampelografiche. Sembra assurdo doverlo ricordare, ma è un promemoria che si rende necessario ogni volta che le esigenze dell’informazione generalista prendono una deriva nel semplificare in maniera eccessiva quello che semplice non è.
Al grande pubblico, quello che segue distrattamente telegiornali, quotidiani e testate online, arrivano notizie di un’annata 2014 poco meno che disastrosa, da un punto di vista quantitativo (la più scarsa dal 1950, secondo Coldiretti) e qualitativamente. Diversi produttori sono naturalmente preoccupati, per usare un eufemismo, per le ricadute commerciali che potrebbero derivare da una bocciatura sommaria di questo tipo. Non è tutto per forza cattivo, provano a sgolarsi. Giustamente, per altro, alla luce dell’ovvio sopra richiamato, anche se onestà intellettuale richiederebbe precisazioni simili pure in frangenti speculari, quando si annuncia la classica vendemmia del secolo a inizio agosto per tutti, quando a Montemarano e Barile l’aglianico non è nemmeno invaiato, un altro po’.
La Campania si inserisce perfettamente in questo vortice schizofrenico di sentenze ed eccezioni. In linea di massima l’andamento millesimale e agronomico è stato quello che leggiamo nei focus nazionali, con temperature e indici di insolazione largamente al di sotto della media, specie se rapportati a quelli dell’ultimo decennio, a fronte di precipitazioni abbondanti in tutte le fasi vegetative. Sempre parlando in termini generali, i viticoltori campani hanno dovuto affrontare significative problematiche sanitarie, peronospora in primis, ricorrendo ad un numero di interventi e trattamenti in vigna che sembravano archiviati nella memoria di vendemmie famigerate come 2002 o 1984. E’ altrettanto vero, tuttavia, che le regioni meridionali hanno potuto contare su un meteo decisamente più clemente rispetto a quanto accaduto in buona parte del centro-nord, specialmente nel mese di agosto e in questo inizio di settembre. Né va trascurato il fatto che l’incidenza delle piogge primaverili ed estive sono, per forza di cose, diverse in zone dove la raccolta si concentra nei mesi di agosto e settembre e in altre, che sono tra le più importanti della Campania, dove è ottobre uno dei mesi cruciali, con appendici addirittura tardo novembrine.
Nel suo “piccolo”, la Campania tiene insieme la stessa enorme complessità territoriale che ricordavamo per il Bel Paese. Ci sono le vigne di alta collina dell’Irpinia e del Sannio, ma anche quelle affacciate sul mare della Costa d’Amalfi, dei Campi Flegrei, del Cilento, di Ischia e Capri. Ci sono le rilevanti differenze termiche tra le aree più fresche e quelle più calde, la risposta talvolta polarizzata delle parcelle in base al vitigno coltivato, al sistema di allevamento e al tipo di suolo, al momento di raccolta. C’è, oltretutto, che quando cadono 50 millimetri di pioggia a Taurasi o Torrecuso non è detto che a Pozzuoli o Castellabate ci siano le nuvole. Infine, facendo invidia al Catalano di Quelli della Notte, vale forse la pena di sottolineare come un’annata fresca e umida può creare grattacapi in aree fredde e piovose e su varietà sensibili alle muffe, mentre presumibilmente ne fa molti di meno in zone calde e siccitose, nonché su vitigni particolarmente resistenti da questo punto di vista (e in Campania ce ne sono, eccome).
Ci siamo capiti, direi, ed è giusto e doveroso attendere quantomeno la fine della raccolta prima di delineare un quadro affidabile e realmente utile per operatori e consumatori sulla 2014 in regione. Un racconto che, come e più del solito, richiederà conoscenze e competenze specifiche, distretto per distretto, vitigno per vitigno, cru per cru, stile per stile, azienda per azienda, senza dare nulla ma proprio nulla per scontato. Per ora possiamo solo affidarci alla logica, a quello che registrano i nostri occhi mentre giriamo per le campagne e alle testimonianze – anche molto diverse tra loro – dei vari vigneron. E’ plausibile che da una stagione di questo tipo possano scaturire bianchi magari non particolarmente ricchi e complessi, ma comunque tesi e nervosi. Così come ci sarebbe ancora spazio per dei rossi non così diluiti e inconsistenti a fronte di un ottobre solare, ventilato e asciutto, se non fosse per le precarie condizioni sanitarie che si trascinano da troppe settimane, anche in aree considerate tra le più vocate, come l’Alta Valle del Calore irpina per l’aglianico.
In ultima analisi, a dispetto di tanta variabilità e complessità, la chiave è molto, molto semplice: chi è riuscito e riuscirà a portare in cantina uve sane e mature, magari selezionate con rigore, potrebbe ancora non soltanto salvare l’annata, ma proporre vini pienamente degni di attenzione e interesse. Tutti gli altri proveranno a limitare i danni, come sta accadendo un po’ dappertutto in Italia, con “creatività tecnica”: mosto concentrato a fronte di gradazioni zuccherine insufficienti, disacidificazioni, tagli con altre annate presenti in cantina, acquisto di uve e vini da zone più “fortunate”, e via discorrendo. In piena regolarità e legittimità, ben intesi, rispettando certi parametri.
E’ una sorta di sfida nella sfida, insomma, quella che si profila in questa pazza 2014: da una parte la natura, con la sua imprevedibilità e ineluttabilità, nel bene e nel male, dall’altra l’uomo, chiamato a cercare soluzioni preventive e “curative”. A prescindere dagli aspetti valutativi, sarà comunque interessante seguire i vini che nascono in queste settimane per capire se saranno stati premiati i viticoltori più bravi (e fortunati) o gli interpreti che hanno concentrato il massimo sforzo “a valle”. In altre parole, l’hit parade del millesimo verrà occupata dalle bottiglie generate dalle migliori vigne e dalle migliori uve oppure dalle correzioni in corso dei più bravi e smaliziati in cantina?
Vedremo cosa accadrà, nel frattempo non possiamo fare altro che rinnovare il nostro più grande in bocca al lupo ai viticoltori, non solo campani, per le settimane di duro lavoro che ancora li attendono. Affinché si riesca ad ottenere il meglio possibile dall’annata, ma soprattutto con l’auspicio che questa venga rispettata, senza inutili forzature. Se qualcosa abbiamo imparato in questi anni di “liberazione” da prospettive critiche e commerciali tanto ottuse quanto schematiche, è che ogni vendemmia ha diritto di cittadinanza e può trovare la sua collocazione. Purché venga capita e accettata prima di tutto dai suoi artefici, purché non si pretenda dai vini originati di diventare ciò che non possono essere. Purché, in particolar modo, se ne sappia spiegare il carattere, suggerire le giuste finestre di consumo, consigliare le opzioni di abbinamento, e così via. Su questo abbiamo ancora molto da imparare dai vigneron francesi, senz’altro più abili non solo a fidelizzare la propria clientela, ma anche a proporre ogni volta la chiave più efficace per dare un senso commerciale ad ciascun millesimo, anche quelli sulla carta meno quotati, magari giocando col prezzo o con minori quantità.
Ci saranno sempre le grandi annate e le annate piccole, intendiamoci, ma in mano a persone consapevoli anche quelle presunte minori hanno modo di essere valorizzate al meglio. La 2014 è una vendemmia che può interessare ugualmente ai mercati per varie ragioni, ad esempio per i moderati tenori alcolici che presenterà con tutta probabilità la maggior parte delle etichette. Se inoltre è vero che in questa fase vanno per la maggiore vini non particolarmente rotondi e strutturati, giocati sullo scheletro verticale più che sugli estratti, di sicuro ci saranno tanti appassionati ben disposti verso il profilo espressivo di tante bottiglie che nascono in queste settimane.
Storta va e diritta vene, recita un vecchio adagio campano, e mai come in questa occasione appare un’indicazione particolarmente utile per chi si gioca in pochi giorni le fatiche e i sacrifici di un anno, e spesso non solo di quello. Non c’è stata grande fortuna finora, ma un’azienda degna di questo nome ha a disposizione tante carte, non solo tecniche, per affrontare e superare le avversità. Buona vendemmia a tutti, cari produttori campani, e non solo.