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Le Verticali di Campania Stories #1. Fiano di Avellino, Rocca del Principe

Ripercorrere la storia di un singolo vino è un momento di approfondimento irrinunciabile per chi vuole avere un quadro dell’evoluzione di un’azienda, soprattutto se questo ne è il rappresentante più significativo. Rocca del Principe è una delle realtà irpine che più sta catalizzando l’interesse degli appassionati, grazie alla capacità dei coniugi Ercole Zarrella e Aurelia Fabrizio di interpretare fedelmente il territorio di Lapio, vero e proprio Grand Cru della Docg irpina. Un percorso che, attraverso le annate e le loro differenze, ha fornito un fil rouge utile per gettare la basi per una raffigurazione, a grandi linee, del territorio che ha segnato in maniera inequivocabile la rinascita del Fiano d’Avellino.

Vini di forza espressiva e sostanza palatale, compressi, quasi imbrigliati in fase giovanile nell’irruenza aromatica-terpenica tipica del vitigno, accentuata dalle caratteristiche pedoclimatiche di Lapio, per poi incrociare e sovrapporre con il tempo le traiettorie olfattive su tratti idrocarburici, con sensazioni sapide e salmastre che nel sorso emergono in maniera evidente.

Un percorso di sette annate per un’azienda dalla storia tutto sommato recente (prima annata prodotta 2004, dopo un passato da conferitori per la Mastroberardino), con le ultime a scandire una rivoluzione lenta ma inesorabile, a partire dai tempi di affinamento sulle fecce fini sempre più prolungati, fino a ritardare l’uscita di un anno rispetto al disciplinare. Questa crescita in termini di identità e consapevolezza vede il progressivo defilarsi della vigna di contrada Campore (convertita ad Aglianico per Taurasi, sfruttando la doppia denominazione che insiste su Lapio) che con le sua esposizione a sud, il terreno argilloso fin sulla superficie, è considerata da Ercole poco adatta ad un Fiano di finezza ed eleganza, soprattutto nelle annate calde che danno forma di solito ad un’uva sbilanciata sulla maturità e sugli zuccheri. Prende invece sempre più piede la vigna in Contrada Arianiello, esposta a nord intorno ai 600 metri slm, con terreno più sciolto in superficie (sopra uno strato di argilla calcarea), dalla maturazione tardiva e che, a partire dall’annata 2013, contribuirà totalmente all’unico Fiano di Avellino di casa.

Proprio questo millesimo è stato l’ultimo step di un percorso di degustazione che ha fatto discutere, anche con pareri opposti e discordanti, una platea molto interessata nel wine-bar/ristorante Il Bacocco * a Trastevere, con la sapiente organizzazione di Andrea Petrini del blog Percorsi di vino *. Una serata andata sold out in men che non si dica, segno che la Campania del vino a Roma continua a generare molta curiosità e attenzione.

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La Verticale

Fiano di Avellino 2007

Veramente convincente e simbolo della grande capacità di questo vitigno di plasmarsi in base all’annata. L’Irpinia, e Lapio nello specifico, con la giusta interpretazione, riescono a tirar fuori vini di grande vitalità e fascino anche in annate potenzialmente meno favorevoli, come la caldissima e asciutta 2007. Le suggestioni da riesling sono evidenti: l’idrocarburo, il caucciù e il frutto giallo tra agrume candito, pera ed albicocca sono inseriti in un quadro generale di rilassatezza, con contorni alsaziani nella speziatura di zenzero. Bocca ampia ma senza slabbrature nella struttura, scorre e fila via piacevole, con l’acidità discreta comprimaria di un bel tratto salino. Difficile non restarne colpiti.

Fiano di Avellino 2008

Pur partendo con i favori del pronostico rispetto al fratello maggiore, per via di un’annata più fresca (ma sempre estremamente solare), trova in questo momento una fase olfattivamente poco stimolante che palleggia tra il miele, la nocciola e la frutta gialla matura. Solo con molta pazienza nel bicchiere emerge il carattere marino-salmastro, che invece si svela in un sorso in spinta, verticale, dove la sapidità affiora con forza e l’acidità incide. Per l’olfatto propenderei per una fase interlocutoria, sembra più maturo di quanto in effetti sia, anche perché i tratti terziari tipici (idrocarburo, muschio, fungo) restano ancora nascosti. Vino a due facce.

Fiano di Avellino 2009

Fa un po’ il vaso di coccio tra i vasi di ferro. L’annata è stata di nuovo siccitosa (almeno a Lapio, contrariamente alla convinzione di molti), molto produttiva e ventilata. Tirar fuori un vino interessante era la sfida, vinta in gran parte proponendo un vino che fa dell’immediatezza il suo carattere distintivo. Emerge immediatamente il tratto di muschio, evidente, poi si passa all’idrocarburo, alla nocciola tostata. La bocca è morbida ed equilibrata nella sua orizzontalità, pecca in lunghezza ma tirar fuori di più sarebbe stato difficile. Quando conta il manico.

Fiano di Avellino 2010

Vino ciclopico, un mostro di gioventù. L’avevo lasciato come una promessa per il futuro, lo ritrovo come probabile fuoriclasse. Ha tutto per riuscire nell’intento: classe, eleganza e forza. Un vero fiano di montagna, giovanissimo: erbe aromatiche, menta, salinità, dolcezza mediterranea soffusa del limone. In bocca ha l’incedere di un cingolato per forza e autorevolezza, costantemente in progressione, in spinta e allungo. La prima annata uscita con qualche mese di ritardo rispetto al solito. Dimenticatelo in cantina.

Fiano di Avellino 2011

Cambio di bottiglia col passaggio dalla bordolese alta alla borgognotta, di etichetta e di impostazione: con il 2011 prende davvero piede il progetto dei lunghi affinamenti. Annata calda eppure il vino sovverte il pronostico, lasciando intendere che grassezza eccessiva e rotondità accentuate non fanno parte del suo dna. E’ anzi più snello come estratto e pienezza in bocca rispetto alla 2010, con un ottimo apporto acido al sorso e un olfatto che fa intravedere qualche sensazione morbida con la pesca e la frutta secca. Torniamo al tema della 2007: annata siccitosa, vino leggiadro ed elegante. La forza di Lapio.

Fiano di Avellino 2012

Se dovessi essere estremamente sintetico direi: naso quasi non giudicabile, bocca da inchino. Inutile girarci intorno: il Fiano giovane, e questo lo è in maniera imbarazzante, all’olfatto ha ben poco da offrire. E’ un susseguirsi di pesca, pera, fiori bianchi e gialli ma senza troppa variabilità ed alternanza. Solo il sorso può svelare la probabile, futura grandezza e la martellante sapidità indica che si può tranquillamente scommettere su questo vino. Lì si trova, allo stato attuale, l’unico elemento in grado di fare la differenza con un Fiano “normale”. Comprare con fiducia.

Fiano di Avellino 2013 (anteprima)

Mentre veniva servito ho pensato: ecco lo sbiancante per i denti. Il ricordo dell’assaggio da vasca aveva impressionato. Non è cambiato molto da allora, in questi pochi mesi il vino è ancora giustamente compresso e muto al naso, bisogna attenderlo nel bicchiere con molta pazienza: ecco allora spuntare gli agrumi, anche con qualche cenno tropicale, ma poco altro. E’ la bocca a lasciare stupefatti per forza e nerbo furioso, freschezza e lunghezza, una scossa di elettricità che percorre tutto il sorso. Cento per cento vigne di Arianiello, è quello che si definirebbe il prototipo di un vino nordico, verticale, quasi monastico ed essenziale. Adesso è una lama di rasoio, con il tempo troverà una sua strada e un suo equilibrio. Toro scatenato.

 

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L'Autore

Alessio Pietrobattista

Alessio Pietrobattista

Romano classe 1978, ha iniziato ad approfondire la sua passione per il vino dopo l’incontro con Sandro Ferracci, condividendo le proprie espressioni su vari blog e forum tematici. Dal 2009 al 2012 ha curato una rubrica dedicata a vini e vignaioli sul quotidiano La Repubblica. Segue la Campania con regolarità dal 2010, attualmente collabora anche con il web magazine Agrodolce e l’editore Enogea, di Alessandro Masnaghetti.
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