Salvatore Di Giacomo, poeta e scrittore (Napoli, 13 marzo 1860 - Napoli, 4 aprile 1934) - Crediti foto: laprovinciaonline.info

Al Poeta, a Letòmago e alla porposa vicina

La storia di Monzù Arena mi è tornata alla mente l’ultima volta che sono stato Al Poeta, in piazza Salvatore di Giacomo, mentre mangiavo un soffice baccalà fritto e indugiavo a guardare i clienti che arrivavano e il guardiamacchine su una seggiola che intonava il suo prego?
Mi ero impressionato e mi pareva di aver visto nell’ombra uno di quei smargiassi, “con l’albernuzzo di teletta sulle spalle, con cosciali e calze di stamma legate con cioffe e sciscioli, col cappello impennacchiato e ricco di passavolanti”, scesi al tramonto dal labirinto degl’Incarnati e de’ vichi di S. Antonio Abate e finiti nelle pagine di quel libriccino che Di Giacomo pubblicò nel 1899: Taverne famose napoletane.
Erano ombre, e tra quelle Monzù Arena e Letòmago mi tennero compagnia mentre proseguivo a mangiare baccalà fritto, bere fiano e ascoltare il guardiamacchine intonare il suo prego? (m.e.)

_______________________________________________________________________

Giovanni Solla era stato, a’ tempi della pagliarella a Porta Capuana, un emulo, in ritardo, d’un famosissimo tavernaro chiamato Monzù Arena.

Monzù Arena, verso il 1830, aveva taverna in una bottega posta in via del Carmine al numero 168, poco lontano dal teatro di Donna Peppa, che dalla marina de’ ‘e limuncelle era, in quell’anno, passato alla Porta del Carmine. Al 1834 il padrone della taverna pensò di piantar sulla riva del mare, dirimpetto precisamente al Castello del Carmine, una baracca decente, e disporle davanti le tavole. Fece questo, come s’intende, nell’estate e si accorse subito d’aver avuto un’eccellente idea. La nuova taverna all’aria aperta incitò frequentatori a centinaia, la voce si sparse, e volò, specie, la fama di certe squisite fritture di pesce le quali non si mangiavano che lì. E da quell’aver disposto sull’arena le tavole e la baracca il tavernaro fu chiamato Monzù all’arena, poi Monzù Arena addirittura. A onor suo si scrisse in prosa e in versi: giusto ho davanti un raro libriccino stampato in quel 1834 da tal Giuliano Letòmago* del quale ho cercato invano d’appurare il nome vero. […]

L’opuscoletto, dicevo, è raro. Dopo aver inutilmente cercato nella Nazionale e all’Universitaria e alla Società di Storia Patria e altrove, pensai che forse quel povero e diligente abate Cuomo avesse potuto raccoglierlo. E difatti lo trovai lì, alla Municipale, in una miscellanea d’opuscoli.
Una sera d’estate – racconta il Letòmago – mentre me ne andavo per la Marina senza un soldo in saccoccia, mentre faccenno cannulicchie cammenavo, mi trovai presso la taverna di Monzù Arena, ov’era tavola bandita per certi signori. Dopo poco, difatti, arrivarono giovani e figliole, fu portato il pranzo in tavola e corsero fiumi di lagrema, grieco, moscato, bordò, sciampagna, cipro, malvasia, malaga e lunel. Qualcosa mancava a mezzo del pranzo e quella mancanza notavan tutti: un poeta, un di quelli improvvisatori la cui musa randagia, per quanto estemporanea, era la visitatrice e confortatrice di que’ simposii: mancava un improvvisatore, insomma, che facesse de’ brindisi alla compagnia.
Ed ecco il signor Letòmago che si presenta alla comitiva e dice: Son qua: vate son io: mm’assetto e magno.
Lì per lì spalafeca un complimento in versi, e un de’ convitati si china all’orecchio del vicino e gli fa:

…a comme sento
chisto mme pare buono e alletterato:
Alleramente: lu pueta è asciato!

Mettono a seder Letòmago accanto a una delle più belle ragazze della tavolata e il pranzo continua più allegramente che mai:

la luna spicchiava nfra le mura
rimpetto a nuie cu nu culore d’oro:
veneveno a la ripa l’onne chiare
addò stevemo nuie serute ncoro:
nce steva ‘o venticiello a recriare,
frisco sciusciava e ghieva nu tresoro.
Chi lo primmo stu luoco ave ammentato
sia beneritto! Nu grand’ommo è stato!

Si beve, si ribeve, Letòmago è invitato a recitar nuovi versi ed egli non si fa pregare e canta le lodi della sua porposa vicina. Qualcuno fa una smorfia, altri si torce sulla sedia, un terzo, finalmente, visto che Letòmago s’accende a mano mano ancor più, gli dice all’orecchio:

…vattene, usa prurenzia.
ca stu cantà che faie nun sape buono.
Va pe li fatte tuoie, va, leva suono.

Lo scherzo stava p’ascire nfieto. Fortunatamente il poeta aveva gambe svelte e ci mise assai poco a svignarsela. Gli era, tuttavia, fitta nella mente e nel cuore l’immagine della fanciulla, così che spesso tornò alla riva incantata, ma senza più ritrovare colei. Rimase, però, per lungo tempo, cliente – dice lui – di Monzù Arena. Io suppongo, invece, che Monzù Arena, in omaggio ad Apollo, gli concedesse di sfamarsi gratis. In ricambio Letòmago gli faceva la réclame e gridava e scriveva e cantava che soltanto da Monzù Arena, si poteva trovar, con ogni cosa de buono,

La crianza, lu sparagno e lu bon tuono.

Anche il bon-ton: circostanza che fa supporre frequentatori aristocratici. Monzù Arena era di moda, e con la moda non si scherza: bastò che un solo aristocratico si recasse lì a cena in compagnia perché tutta la Napoli chic accorresse alle arene del Carmine. Nell’inverno – il Letòmago non dimentica di avvertirne i suoi lettori – Monzù Arena tornava all’antico suo posto in via della Marina al numero 164, dirimpetto. Al sessanta, come si dice a Napoli, levaie frasca.

*Quatto chiacchiere pe Monzù Arena, vierze de Giuliano Letòmago; ‘A stamparia ‘è l’Aquela s’è fatto, lu mille e ottociento trentaquatto. (Bibl. municipale Cuomo, Miscellanea, serie I, n. 345).

Salvatore Di Giacomo (nella foto di apertura), tratto da Taverne famose napoletane, Trani, Vecchi, 1899.

Condividi Share on FacebookGoogle+Tweet about this on TwitterShare on LinkedIn

L'Autore

Mauro Erro

Mauro Erro

Nato a Napoli nel 1978, alla passione per il mondo dell’editoria e dell’informazione accompagna da sempre quella per il vino e i suoi artigiani. Nel 2006 ha creato il Laboratorio Divino in Vigna, luogo di incontro per appassionati, enoteca e libreria specializzata, ha diretto un festival dedicato ai piccoli produttori del Sud-Italia, collaborando con diverse pubblicazioni specializzate, cartacee e digitali. Dal 2008 pubblica i suoi appunti sul blog Il viandante bevitore, dal novembre 2011 è al fianco di Alessandro Masnaghetti nella redazione di Enogea.
» Tutti gli articoli di Mauro Erro