laura palmer

I vini (campani e non solo) e l’effetto Twin Peaks

Undici milioni, dico undici milioni, di telespettatori (con il 40% di share). Ancora oggi record imbattuto e forse imbattibile, secondo le statistiche Auditel, per un telefilm trasmesso da un’emittente televisiva italiana. Non potevano credere ai loro occhi, i dirigenti Fininvest, la mattina del 10 gennaio 1991, quando uscirono i dati di ascolto relativi al giorno precedente. Certificando il botto, anzi il bing bang, di Canale 5, che aveva mandato in onda la prima puntata de “I Segreti di Twin Peaks” *.

Non che non ci fossero i presupposti: la storia era firmata da David Lynch *, già allora affermato come regista di caratura internazionale, dopo i successi, non solo di critica, di The Elephant Man, Dune, Velluto Blu, Cuore Selvaggio. Tra l’altro la puntata-pilota, trasmessa l’8 aprile 1990 dal network Abc, aveva fatto registrare un’audience monstre da 35 milioni e la serie era diventata velocemente un vero e proprio fenomeno di costume negli Stati Uniti. Eppure erano in tanti a pensare, specie tra giornalisti e critici, che il successo americano non si sarebbe replicato in Italia. In quei pochi mesi erano accadute molte cose e la prima guerra del Golfo stava per entrare nella sua fase più calda, andando ad occupare il centro della scena mediatica. Non solo: gli esperti televisivi pronosticavano un quasi sicuro flop, immaginando un pubblico nostrano non in grado di entrare in sintonia con le atmosfere oniriche e surreali di Lynch. «Gli italiani si aspettano e vogliono dallo Zio Sam lo sceneggiato tipo Dallas o al massimo le storie di detective e poliziotti con inseguimenti e sparatorie», questo era più o meno il tono delle analisi nei giorni precedenti alla première.

Crediti foto: artspecialday.com

Il regista David Lynch – Crediti foto: artspecialday.com

Ma le cassandre non avevano fatto i conti, tra le tante cose, con una delle più riuscite campagne di promozione che la storia televisiva italiana ricordi. Diverse settimane prima della messa in onda, infatti, le reti Fininvest cominciarono ad inserire praticamente in ogni blocco pubblicitario il promo di Twin Peaks. Quaranta secondi di sole immagini, montate in dissolvenza e accompagnate dalla versione strumentale del main theme della serie (vedi link youtube più giù), l’ormai celeberrima Falling del compositore italo-americano Angelo Badalamenti. E in coda le uniche parole dello spot: «I segreti di Twin Peaks».

Al supermercato o dal parrucchiere, nella sala d’aspetto di uno studio medico o allo stadio, erano tutti a domandarsi a vicenda: «ma tu sei riuscito a capire di che parla quella pubblicità?» Ci volle un po’ perfino per realizzare che si trattava del promo di un programma televisivo, quando finalmente comparve il «prossimamente, su Canale 5». E più la campagna restava sul vago, più montava una curiosità quasi morbosa: credo che mai nella storia della televisione italiana così tanta gente si sia sintonizzata su una trasmissione senza avere la minima precognizione di quello che avrebbe visto. Una cosa così non sarebbe naturalmente neanche pensabile al giorno d’oggi: basterebbe un click veloce sul web per avere tutte le informazioni in anticipo sul cast, la trama, il genere. Invece buona parte del pubblico scoprì solo la sera del 9 gennaio che quello non era altro che l’esordio di una serie, immediatamente odiata o adorata, senza mezzi termini, a seconda delle reazioni.

Le puntate successive fecero registrare un sensibile calo di audience, ma la media di ascolto rimase comunque altissima in Italia (vicina ai 9 milioni) per tutta la messa in onda della prima stagione, articolata in otto episodi. Poi, esattamente come era accaduto negli Stati Uniti, l’interesse al limite del fanatico che aveva accolto l’opera di Lynch sfumò anche da noi, quasi all’improvviso. Le 22 puntate della seconda serie si trasformarono in un lento calvario, con continui spostamenti nel palinsesto e uno zoccolo duro di fedelissimi di poco superiore ai 2 milioni sintonizzati per gli ultimi episodi. Ma nemmeno questa débacle fu casuale: travolti e quasi spaventati dalla mobilitazione di pubblico scatenatasi con le puntate della prima serie, i dirigenti della Abc commisero un errore imperdonabile, col senno di poi.

Gli americani volevano sapere, o meglio credevano di voler sapere, chi era l’assassino di Laura Palmer, l’indagine su cui ruotava tutto l’intreccio a partire dalla primissima puntata. Ogni giorno la redazione della Abc era tempestata di telefonate, fax, lettere dei Twin Peaks addicted e i responsabili del network ritennero necessario svelare il mistero chiave della storia al termine della prima stagione. Pensando che in questo modo avrebbero placato quella trasversale ansiosa impazienza, ormai ingestibile, senza conseguenze sugli ascolti della seconda serie. E invece no: una volta smascherato il colpevole, per la gran parte dei telespettatori venne meno la motivazione decisiva che li teneva incollati allo schermo ogni sabato, serata di messa in onda negli Stati Uniti. Un vero e proprio suicidio, come dichiarò a più riprese lo stesso David Lynch, ancora oggi non metabolizzato. «È un’assurdità che questo sia potuto succedere», disse il regista riferendosi alla presa di posizione sulla sceneggiatura dei capi Abc, «c’era spazio per tantissimi altri misteri, ma quel mistero era sacro, teneva in piedi tutti gli altri. Era l’albero e gli altri erano i rami. È, come ho detto, una tristezza».

Che c’entra tutta questa storia con i vini, non solo campani? Probabilmente nulla. Eppure mi è tornata alla mente qualche sera fa mentre riassaggiavo una bottiglia della mia regione: un buon rosso prodotto da una cantina blasonata, di quelle che tendono a creare fazioni polarizzate di fan sfegatati e detrattori. Ne ho bevuta una metà, rendendomi conto a un certo punto che lo stavo facendo più per inerzia che per reale interesse o coinvolgimento. Una specie di piacere distratto, che mi portava continuamente a smarrire dopo pochi secondi le sensazioni, le sfumature, la curiosità di saperne di più. Per quanto irreprensibile tecnicamente e organoletticamente, in quel vino mancava ogni tipo di suspence, di tensione, di implicito. Non era stato così le prime volte che lo avevo assaggiato, quando mi aveva a dir poco colpito. Poi, pian piano, ad ogni nuovo incontro l’effetto “uau” si era diluito, un po’ come era capitato, ragionavo, a Twin Peaks dopo il debutto. Soprattutto dopo la scoperta del killer.

Crediti foto: astramentis.it

Rob Brezny – Crediti foto: astramentis.it

Mai come negli ultimi anni ci si è confrontati così tanto sulla rilevanza dell’estetica applicata all’enologia, da un punto di vista critico come stilistico. Eppure sono convinto che questo aspetto sia ancora troppo sottovalutato. Nel mercato globale contemporaneo non è più sufficiente ormai che un vino sia buono e corretto: deve saper raccontare una storia, il più possibile originale ed accattivante. Per una volta lasciatemi giocare a fare il Rob Brezsny, da tanti conosciuto come astrologo-filosofo cult che cura l’oroscopo, tra molte virgolette, della rivista Internazionale *. Probabilmente lui si divertirebbe così: caro produttore campano (e non solo), ti sei mai chiesto quanto c’è di misterioso nei tuoi vini? Sei in grado di lasciare nelle tue bottiglie una traccia di enigma? Infilandoci magari un indizio, suggerito ma mai totalmente svelato, un dubbio, un tarlo che rimanga nella testa e nella pancia di chi le incontra?

Ecco, produttore campano (e non solo), per il 2015 e per i trent’anni a seguire sarà questo il tuo compito: aggiungere alla tua opera materiale e creativa, se non lo hai fatto già, un “ingrediente” segreto noto solo a te stesso. Un trucco, non quelli a cui stai pensando tu birbante, da non rivelare nemmeno in punto di morte, come stabilisce il codice degli illusionisti. Il prestigio, ti direbbero loro, che è solo una delle tre componenti costitutive di un numero ben riuscito. Quel qualcosa che noi appassionati bevitori non conosciamo e forse non riusciamo nemmeno a capire, ma che nonostante tutto è lì e ci fa restare inchiodati, alla poltrona e alla tavola, il più a lungo possibile. Effetto Twin Peaks, appunto.

 

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L'Autore

Paolo De Cristofaro

Paolo De Cristofaro

Irpino classe 1978, lavora a tempo pieno nel mondo del vino dal 2003, dopo la laurea in Scienze della Comunicazione e il Master in Comunicazione e Giornalismo Enogastronomico di Gambero Rosso. Giornalista e autore televisivo, collabora per numerose guide, riviste e siti web, tra cui il blog Tipicamente, creato nel 2008 con Antonio Boco e Fabio Pracchia. Attualmente è il responsabile dei contenuti editoriali del progetto Campania Stories, nato da un’esperienza ultradecennale nell’organizzazione degli eventi di promozione dei vini irpini e campani con gli amici di sempre. Dal 2013 collabora con la rivista e il sito di Enogea, fondata da Alessandro Masnaghetti.
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