Nella seconda puntata del nostro speciale Costa d’Amalfi proponiamo un inquadramento generale del territorio di produzione, ma soprattutto delle sue peculiarità viticole e ampelografiche. Nei focus successivi proveremo ad entrare nel dettaglio delle tre sottozone, segnalando area per area quelle che per noi sono le migliori aziende del distretto.
Territorio, geologia, disciplinare di produzione (altre informazioni sulla dop Costa d’Amafi disponibili qui – link)
La denominazione Costa d’Amalfi, in vigore dal 1995 (e modificata nel 2011), fa riferimento alle zone collinari di tredici comuni incastrati tra il Golfo di Salerno e i Monti Lattari: Vietri, Cetara, Maiori, Minori, Scala, Atrani, Furore, Positano, Amalfi, Ravello, Conca dei Marini, Tramonti. E’ un’area estremamente piccola e frastagliata, che dà vita a meno di 3.000 ettolitri annui di vino dop, imbottigliati da una dozzina di aziende, le cui produzioni non superano quasi mai le poche decine di migliaia di bottiglie.
Il disciplinare individua tre sottozone ben distinte: Furore, Ravello e Tramonti, aree sensibilmente diverse fra loro per posizione, clima, base ampelografica, tradizione produttiva e commerciale. Ciò che accomuna tutto il distretto, come già sottolineato nella prima puntata (link), è una viticoltura pedemontana che si sviluppa in verticale, dai 100 ai 600 metri circa di altitudine, su terrazzamenti resi necessari dalle forti pendenze, costantemente superiori al 50%. Altro fattore di omogeneità dell’area riguarda la piattaforma geologica, costituita da formazioni rocciose di tipo dolomitico-calcaree, che in più punti affiorano in superficie e fanno da base a tutti i terreni coltivati nella Costa d’Amalfi.
Come spiega il geologo Aldo Cinque, <<Le rocce che formano l’ossatura della dorsale dei Monti Lattari sono di tipo sedimentario e si formarono in ambiente marino durante il Mesozoico (l’era dei dinosauri). Più esattamente si tratta di strati di calcari e dolomie (chimicamente dei carbonati di calcio e di calcio e magnesio rispettivamente) che si formarono per l’indurimento di fanghi sottomarini composti per lo più di gusci di organismi microscopici (plancton). Alcuni strati sono però ricchi anche di resti fossili visibili ad occhio nudo (conchiglie di lamellibranchi e gasteropodi, alghe e coralli). L’ambiente nel quale si andarono stratificando questi sedimenti era una amplissima e tranquilla laguna, bordata tutt’intorno da una barriera biocostruita; uno scenario del tutto equivalente a quello che troviamo oggi attivo nelle Bahamas>>.
Un cru per ogni terrazza
Questa roccia calcarea è stata ricoperta in tempi più recenti da strati più o meno spessi di origine vulcanica (l’ultima eruzione del Vesuvio è degli anni ’40), per lo più ceneri e lapilli, estremamente sciolti e drenanti. Le variazioni nella giacitura dei terreni sono senz’altro significative, ma i fattori che più incidono sull’espressività dei vini della zona sono maggiormente legati all’infinito puzzle di microclimi, altitudini ed esposizioni. Per molti versi è come se ogni terrazzamento rappresentasse un cru a sé stante. Storicamente le vigne esposte a sud sono quelle associate ad uve e vini di qualità superiore: le eccezioni non mancano, ma la natura montuosa del territorio spiega in modo abbastanza intuitivo quanto sia importante un orientamento con meno coni d’ombra possibili. In questo caso la direzione sud non è ricerca di zuccheri ed estratti oltre misura, ma la condizione necessaria per convogliare la luce ed ottenere così una piena maturazione, traguardo non del tutto scontato da queste parti.
La piovosità può oscillare in maniera fortissima da conca a conca, così come ogni curva di livello aggiunge qualcosa in termini di nerbo e complessità, grazie alle notevoli escursioni termiche, senza dimenticare il ruolo fondamentale svolto dai venti e dal gioco delle correnti. A parità di vitigno e sistema di conduzione, ci possono essere anche quaranta giorni di differenza nell’epoca vendemmiale, ma soprattutto profili organolettici molto diversi, con declinazioni delle componenti fruttate e acido-sapide molto articolate da vigna a vigna.
A complicare ulteriormente le cose, ma anche a renderle di un fascino irresistibile, c’è lo sterminato patrimonio di vitigni autoctoni, che le particolari condizioni ambientali hanno preservato nel tempo: il disciplinare fa riferimento a quelli che negli anni sono stati censiti e in qualche modo classificati, ma ce ne sono molti altri impiegati da secoli, il cui utilizzo è considerato ancora oggi imprescindibile, con tutto quello che ne consegue in termini di comunicazione e protezione legislativa.
Un valore di biodiversità inestimabile che non può far dimenticare gli ostacoli di una viticoltura solo in minima parte specializzata, che non sempre consente di raccogliere uve al livello perfetto di maturazione: nei limiti del possibile si cerca di vendemmiare per vitigno ma in molti casi le quantità sono talmente risicate da costringere ad accorpare varietà diverse con livelli di equilibrio acido-zuccherino estremamente variegati.
I vitigni rari della Costa d’Amalfi
Come più volte sottolineato finora, è lavoro difficile ed entusiasmante la classificazione di tutte le varietà coltivate storicamente in Costa d’Amalfi. L’aspetto più significativo, in ogni caso, è la scelta fatta chiaramente da tutte le aziende del territorio di puntare solo ed esclusivamente sulla tradizione autoctona. Senza nulla togliere a merlot e cabernet, da queste parti una disputa su tradizione-innovazione, locale-internazionale non è mai stata all’ordine del giorno. Ecco, in estrema sintesi, i vitigni più significativi nella produzione della Costa d’Amalfi:
Varietà a bacca bianca
Ripolo o ripoli: diffuso principalmente nella sottozona Furore. Non esiste un clone standard, va facilmente soggetto ad acinellatura (dovuta probabilmente alla mancanza di boro nei terreni). Grappolo piccolo e spargolo con acini grandi e piccoli, matura a fine ottobre; buccia robusta, raggiunge ottime gradazioni zuccherine abbinate ad acidità e sapidità sostenute.
Ginestra: diffuso a macchia di leopardo in tutta la Costa d’Amalfi, si ipotizza che il nome derivi dal suo caratteristico profumo floreale. Grappolo abbastanza omogeneo tendente al verdolino, matura tra la fine di settembre e metà ottobre e dà vita a vini estremamente freschi e profumati, di struttura agile e snella. Secondo alcuni è strettamente imparentata con la biancazita, per altri è un clone di biancolella, per altri ancora è una varietà a sé.
Fenile: grappolo piccolo e leggero, buccia estremamente sottile, ha una maturazione precoce che può essere completata già tra la fine d’agosto e i primi di settembre. Raggiunge facilmente elevate gradazioni zuccherine abbinate a valori di acidità piuttosto contenuti rispetto agli altri vitigni dell’area; tende a surmaturare nelle annate più calde e può presentare fenomeni di botrytis nelle stagioni più umide. Nei blend con le altre varietà tradizionali della zona, è il vitigno che conferisce morbidezza e dolcezza, anche sul piano aromatico per effetto delle sue caratteristiche sensazioni di albicocca ed agrumi canditi, miele e frutta tropicale.
Pepella: diffusa soprattutto a Tramonti e, in minore parte, a Ravello, il nome deriverebbe dalla presenza, accanto ad acini normali, di acini molto piccoli che ricordano il pepe. Soggetta all’acinellatura tipica del Picolit, è una varietà abbastanza precoce, vendemmiata nella prima metà di settembre, che conferisce aromi fruttati e speziati e conserva una spiccata acidità a fronte di concentrazioni zuccherine mediamente più alte rispetto a ripoli e ginestra.
Falanghina-Biancazita: il vitigno a bacca bianca più diffuso in Campania, entra negli uvaggi della Costa d’Amalfi dove è conosciuto col nome locale biancazita. Matura generalmente a fine settembre e dà vita a vini di medio corpo e di buona acidità.
Biancolella-Biancatenera: è il vitigno principe dell’isola d’Ischia, nella Costa d’Amalfi è conosciuto anche col nome biancatenera o san nicola, anche se per molti queste ultime due sono varietà a sé stanti. Tra Furore e Tramonti può maturare anche ad un mese di distanza, tra metà settembre e metà ottobre. Si caratterizza per aromi fragranti e delicatamente vegetali, oltre ad un’acidità misurata.
Altre varietà a bacca bianca: moschella, malvasia, coda di volpe, greco, ginestrella
Varietà a bacca rossa
Tintore: varietà principe della sottozona Tramonti, dove resistono ancora diverse piante ultracentenarie a piede franco, allevate su pergolati. Come suggerisce il nome, è una varietà che dà vita a vini ricchi di colore, ma anche sostenuti da una spiccata acidità e da tannini estremamente saporiti, ovviamente quando raggiunge maturazioni ottimali. Viene raccolto tradizionalmente tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre; per molto tempo è stato descritto come un clone di aglianico e il processo per il riconoscimento di varietà a sé stante è stato lungo e travagliato, al punto che alcune aziende hanno scelto per un periodo di uscire dalla Dop per proporre i propri vini da tintore in purezza.
Piedirosso: il vitigno più diffuso della costa campana, entra in uvaggio in tutti i rossi della Costa d’Amalfi. Deve il suo nome al colore rosso dei pedicelli degli acini che ricorda la tinta della zampa dei colombi. Estremamente rustico e poco produttivo, dà vita ad espressioni molto diverse a seconda delle zone e dei sistemi di allevamento. Raccolto generalmente ad ottobre, è tradizionalmente utilizzato per ammorbidire i vini da aglianico e tintore, ma può esprimersi anch’esso con austerità ed nerbo acido.
Aglianico: Vitigno principe dell’Appennino Meridionale, presente in tutto il territorio regionale, in diversi biotipi. In Costa d’Amalfi matura nella seconda metà di ottobre e dà vita a vini mediamente meno ricchi e duri rispetto a quelli delle zone interne dell’Irpinia, del Sannio e del Vulture.
Altre varietà a bacca rossa: sciascinoso (o olivella), taralluzzo, porcino