Come sottolineato nel post introduttivo (link), possiamo senz’altro considerare l’area di Galluccio-Roccamonfina come un unico comprensorio, con importanti elementi di omogeneità. Siamo nell’Alto Casertano, precisamente nel segmento che si sviluppa a nord-est della limitrofa Dop Falerno del Massico *, su una ventina di comuni (San Pietro Infine è il limite nord, mentre il confine sud è disegnato dai comuni di Francolise, Sparanise, Calvi Risorta, Rocchetta e Croce, Pietramelara e Roccaromana).
Da un punto di vista “burocratico” ha senso distinguere l’areale tutelato dalla Dop Galluccio, creata nel 1997. Comprende i 5 comuni di Rocca d’Evandro, Mignano Monte Lungo, Tora a Piccilli, Conca della Campania e naturalmente Galluccio, il piccolo borgo diffuso che battezza la denominazione. E’ un distretto raccolto e storicamente vocato all’agricoltura, delimitato ad ovest e a nord dalle colline e dalle pianure del basso Frusinate, a nord-est dalle prime propaggini dell’Appennino Molisano-Sannita (provincia di Isernia), a sud-est dal vulcano spento di Roccamonfina.
Nonostante la presenza di massicci come il Monte Camino, la Difesa, Monte Cesima, Monte Cavallo e Monte Santa Croce (cima del vulcano spento), la viticoltura si sviluppa soprattutto in una fascia di bassa collina, tra i 100 e i 300 metri, con rari impianti collocati al di sopra dei 350-400 metri, concentrati nella zona più vicina a Roccamonfina.
E’ soprattutto la natura e la composizione dei suoli a rendere la denominazione decisamente uniforme e compatta: sono depositi lavici di diversa consistenza e granulometria che si alternano a strati argilloso-calcarei e calcareo-sabbiosi.
Per quanto riguarda i vitigni a bacca rossa, in tutta l’area è largamente maggioritaria la coltivazione dell’aglianico, spesso in consociazione con il piedirosso, con raccolte concentrate tra la prima e la seconda decade di ottobre. Quote minoritarie sono riservate a primitivo, sciascinoso e montepulciano, mentre tra i vitigni a bacca bianca la varietà più diffusa è la falanghina, a cui si sono affiancate in misura crescente fiano, greco, coda di volpe.
Il disciplinare certifica quattro tipologie: Bianco (70% minimo di falanghina), Rosato, Rosso e Rosso Riserva (70% minimo di aglianico). Nella vendemmia 2010 sono stati rivendicati circa 1.500 ettolitri, riferiti a quasi 150 ettari, per una produzione complessiva di poco inferiore alle 200.000 bottiglie.
I comuni che non rientrano nella Dop Galluccio sono tutelati dalla Igp Roccamonfina, istituita nel 1995 e utilizzata come ricaduta anche per la Dop Falerno del Massico. La base ampelografica e territoriale è, come detto, totalmente sovrapponibile: troviamo soprattutto Aglianico, Piedirosso, Primitivo, Falanghina, con quote riservate a Coda di Volpe, Fiano, Greco, Sciascionoso. Sono tutte tipologie previste dal disciplinare (quando i singoli vitigni vengono utilizzati per almeno l’85%).
Galluccio-Roccamonfina, le cantine e i vini (prima parte)
Considerando il comprensorio nella sua interezza, a Galluccio-Roccamonfina operano una ventina di aziende, soprattutto di piccole e medie dimensioni, nate perlopiù a partire dalla seconda metà degli anni ’90. Nonostante le potenzialità della zona, sono ancora relativamente poche le realtà in grado di proporre letture davvero interessanti per originalità e carattere. E’ altrettanto vero, però, che la maggior parte delle etichette è commercializzata a prezzi tutt’altro che proibitivi: salvo eccezioni, si riesce ad assaggiare tutto il meglio della zona con meno di 15 euro a bottiglia (e per i bianchi molto meno). Vale la pena di sottolineare, infine, come quasi tutte le cantine più rappresentative abbiano abbracciato da tempi non sospetti protocolli agricoli certificati di tipo biologico e biodinamico. Ulteriore indizio a favore di un territorio in buona parte ancora incontaminato, che potrebbe sfruttare con maggiore convinzione condizioni oggettivamente adatte ad una viticoltura sana e di qualità.
Galardi
Frazione San Carlo, Strada Provinciale 14 Sessa Mignano
Sessa Aurunca (CE)
Tel. +39 0823 708900
www.terradilavoro.com
info@terradilavoro.com
Superficie aziendale vitata: 10 ettari
Produzione annua (media): 30.000 bottiglie
Visite e vendita diretta in azienda: su prenotazione
Non possiamo che partire da qui, là dove hanno in qualche modo preso forma le ambizioni produttive recenti dell’area di Galluccio-Roccamonfina. L’azienda si chiama Fontana Galardi, ma tanti addetti ai lavori e appassionati la identificano direttamente con l’unica etichetta di casa, quel Terra di Lavoro che da oltre un ventennio è uno di rossi campani più conosciuti nel mondo. Classico taglio di aglianico con piccolo saldo di piedirosso, è un vino nato un po’ per caso, dalla passione di un gruppo di amici (Arturo Celentano, Maria Luisa Murena, Francesco e Dora Catello, Roberto Maria Selvaggi, scomparso nel 2001), presto affiancati da un Riccardo Cotarella alle sue prime esperienze in regione.
Dopo alcune prove sperimentali, la prima vendemmia “ufficiale” è quella del 1994: poche centinaia di bottiglie, che diventano immediatamente oggetto di caccia (e speculazione) per diversi operatori mondiali, grazie anche all’entusiastica accoglienza della critica anglosassone (specialmente dopo i punteggi assegnati da Robert Parker all’annata 1997). La produzione aumenta gradualmente negli anni 2000 con l’entrata a regime delle nuove parcelle, per arrivare agli attuali 10 ettari vitati di proprietà e ad una tiratura annua che si aggira intorno alle 30.000 unità.
Le vigne e la cantina si trovano nella frazione San Carlo di Sessa Aurunca, lungo la strada provinciale che conduce a Mignano. Come ricordato nello speciale di qualche settimana fa (link), tecnicamente siamo ancora all’interno dell’areale del Falerno del Massico, ma i punti di contatto con la denominazione finiscono qui. Da un punto di vista pedologico, infatti, i pendii che generano il Terra di Lavoro sono riconducibili in tutto e per tutto al distretto Galluccio-Roccamonfina, precisamente al quadrante che si sviluppa ad ovest del vulcano spento.
E’ una zona paesaggisticamente splendida: una collina di orientamento nord-ovest/sud-est, circondata da uliveti e boschi di castagni e querce, caratterizzata da suoli vulcanici e alluvionali, molto profondi, con significativa presenza di calcare e scisto. La parte più alta si colloca a circa 450 metri sul livello del mare, dove sorge la cantina, dalla quale si può godere del meraviglioso spettacolo del golfo di Gaeta, col vulcano di Roccamonfina a proteggere dai venti più umidi. Le maturazioni si completano tra la prima e la seconda decade di ottobre, in genere con una settimana-dieci giorni di ritardo rispetto ai siti di Sessa Aurunca più vicini al monte Massico.
In questi vent’anni non è cambiato granché nel protocollo di cantina: macerazioni intorno ai 20 giorni, con estrazioni decise e malolattica svolta in acciaio, prima dell’affinamento in barriques di Allier e Nevers per circa 12 mesi. Un’impostazione stilistica dichiaratamente “moderna” per un rosso che tende a dividere abbastanza critici e amatori, proprio in virtù della sua estrema riconoscibilità. E’ piuttosto agevole identificare il Terra di Lavoro in una batteria di assaggio alla cieca, soprattutto per quanto riguarda le prime versioni, costantemente caratterizzate da prepotenti timbri affumicati, a volte fin troppo in primo piano, descritti a seconda delle riuscite con note insolite come carbonella, pneumatico surriscaldato, asfalto nuovo, e così via. E’ un profilo che si è molto alleggerito nelle ultime vendemmie, maggiormente marcate sul piano speziato e balsamico, ma forse un po’ meno a fuoco per quanto riguarda l’integrità del frutto, sempre più spesso sovra maturo ed accompagnato da tracce piraziniche.
Si notano meno differenze sul piano gustativo: il Terra di Lavoro è sempre un rosso di materia e forza estrattiva, che ha bisogno di molto tempo per distendersi ed amalgamare la fitta dotazione tannica, derivante anche dal rovere. Le migliori versioni riescono a bilanciare questa esuberante ricchezza grazie alla pregevole energia sapida, con una lentezza e una gradualità evolutiva per molti versi paragonabile a quella di un Pauillac, più che a quella di un classico aglianico “nebbioleggiante”. Non è dunque un vino che consiglierei a chi cerca prima di tutto dettagli e leggerezza di beva, eppure non avrei timore a sottoporre millesimi come ’96, ’99 o 2005 al più acceso dei borgognofili. L’ultima vendemmia in commercio è la 2012, reperibile intorno ai 45-50 euro in enoteca; ne servono almeno 100, invece, per recuperare le annate più vecchie, la cui la limitata disponibilità rese il Terra di Lavoro il primo vin de garage campano.