Sembra ieri, anzi qualche minuto fa, che il wine team campano accoglieva nella sua rosa un nuovo strano rosso, firmato da un manager-writer-sommelier ben conosciuto nell’enomondo, non solo regionale. La percezione del tempo nelle cose vinose segue traiettorie tutte sue, è risaputo, ma fa comunque un certo effetto realizzare che da quell’esordio, datato 2008, sono trascorse già sette vendemmie. Una finestra forse sufficiente per concludere che no, non stava giocando, Giovanni Ascione quando ha scelto di passare dall’altro lato delle barricata e dare vita a Nanni Copè e alla sua unica etichetta, il Sabbie di Sopra il Bosco.
Perdonatemi se per una volta parto dalla fine: la sua storia è stata più volte raccontata e a chi non fosse familiare basteranno un paio di rapidi click sul web per recuperarla. Ho assaggiato da poco l’ultima annata imbottigliata, ormai pronta per la commercializzazione, la 2013, e queste sono le considerazioni che mi si sono innescate.
E’ vero che 6-7 anni sono un battito di ciglia per chi fa vino, ma da un certo punto di vista sembra quasi che Nanni Copè ci sia da sempre nel distretto campano. Quello che stupisce nel lavoro di Ascione, a prescindere dal gradimento personale, è la consapevolezza estetica, ancor prima che tecnica, incarnata nelle sue bottiglie. Una “maturità” molto più da veterano che da emergente, che fornisce ulteriori argomenti a chi vede la componente umana, di sensibilità e progetto, più centrale che mai nel triangolo del terroir.
Provincia di Caserta, Colline Caiatine, Castel Campagnano, località Monticelli, due ettari e mezzo coltivati perlopiù a pallagrello nero, con qualche filare di aglianico e casavecchia, il suolo formato dalle cosiddette arenarie di Caiazzo, da cui il nome del vino. Riferimenti territoriali magari non ancora così familiari presso il grande pubblico, ma con una loro forza e riconoscibilità, che non hanno impedito a Nanni Copè di integrarsi puntando su uno stile personale. E addirittura su un’idea aziendale trascurata in regione dagli esordi di Terra di Lavoro e Montevetrano: one brand, one wine.
E’ come se fosse più possibile, se non più facile, lasciare rapidamente il segno in quelle aree campane dove la “tradizione” è ancora in buona parte da scrivere. Fa riflettere: quanto può dirsi solido un distretto regionale che ottiene spazio e attenzione soprattutto grazie alle “novità”? Perché nelle denominazioni “classiche” le rimodulazioni interpretative procedono molto più lentamente rispetto alle aree poco meno che vergini? Come mai si fa così fatica da queste parti ad indicare gerarchie davvero stabili?
In questo senso l’avventura di Giovanni Ascione appare emblematica nell’attuale scenario regionale: il giornalista-vigneron ha indubbiamente goduto di un’ampia apertura di credito tra gli addetti ai lavori, così come la sue esperienze di marketing e comunicazione lo hanno sicuramente aiutato a bruciare le tappe. Ma i crediti a un certo punto si chiudono e ne abbiamo già visti, in Campania, di exploit mediatici bruscamente ridimensionati nel breve e medio periodo. Il patrimonio di conoscenze nel settore non basta a mandare avanti la baracca, se autorevolezza e carisma non trovano corrispondenza nel bicchiere.
Se n’è parlato, del Sabbie di Sopra il Bosco, ma poi lo si è soprattutto bevuto e lo si beve, questa è la banale verità. Perché anche i più scettici non hanno potuto fare a meno di riconoscergli un’identità chiara e un profilo contemporaneo nel senso migliore del termine. Delicatezza estrattiva, sapidità, grande facilità di beva: una dichiarazione di intenti rispettata alla lettera, eppure capace di rinnovarsi e aggiungere spunti stagione dopo stagione.
Assaggiare la nuova annata di Nanni Copè è una delle tappe più divertenti dell’aggiornamento regionale, per quanto mi riguarda. Ma non è una questione di grande-piccolo o meglio-peggio: a prescindere dalle singole preferenze, ogni versione del Sabbie di Sopra il Bosco ha una sua precisa fisionomia, non confondibile con le altre. E soprattutto racconta una storia, solo quella, nient’altro che il diario di un viaggio lungo dodici mesi, da vendemmia e vendemmia.
E’ già piuttosto agevole posizionare le diverse uscite in base alla loro indole espressiva: da questo punto di vista la 2013 sembra affratellata alle versioni 2008 e 2010, quelle in buona misura “verticali”, là dove 2009, 2011 e 2012 ben rappresentano i più orizzontali e materici. L’ho seguito per 48 ore e questi sono gli appunti presi, nudi e crudi:
Prima sera, apertura express, temperatura 16-17 gradi
Partenza più vinosa e meno riduttiva del solito: idea di vino fresco e appena sbocciato, tutto sul lato silvestre, boscoso e terroso.
Ribes nero, frutti di bosco appena colti, impressioni di radici e humus, pomodorino ripieno, qualche timbro marino.
Alla cieca si potrebbe perfino pensare ad un Chianti classico di altura, di quelli scuri ma non cupi, minerali, Lamole più che Radda.
Bocca totalmente coerente: prima parte dura, tutta sulla freschezza e l’acidità, in primo piano rispetto al binario centrale di frutto e spalla.
Seconda parte meno aggressiva, più acquietata, di grande energia salina. Si armonizza goccia a goccia, chiudendo bene: il tannino è mimetizzato, enfatizzato più dal nerbo acido che dalla sua massa, sottile e di grana fine. Scappa un filo di alcol (da leggerissima diluizione) e c’è una traccia ammandorlata enigmatica, non so se da ricondurre alla componente vulcanica o al rovere.
Seconda sera, 24 ore di apertura a temperatura ambiente, ritappato col suo sughero
Al naso si è mosso poco: fa capolino un frutto appena più rosso, verso il mirtillo e il lampone, si fa ancora più netto il profilo boscoso, di tipo maggiormente officinale e balsamico.
Cresciuto soprattutto nella dinamica gustativa, trova una dolcezza nel centro bocca assai più nascosta nel primo assaggio: meno rigido e severo nelle sfuriate acide, chiude abbozzando perfino un sorriso. Tannino sempre ben avviluppato, rimane quel pizzico di calore nell’ultima scia, con un tocco di noce.
Terza sera, 48 ore di apertura a temperatura ambiente, ritappato col suo sughero
Inizia a perdere qualcosa nell’intensità fruttata, ma il profilo rimane fragrante e arioso. E’ definitivamente esplosa la componente fredda e silvestre, sempre più chiantigiana nelle suggestioni. La bocca si è invece nuovamente irrigidita: verticale fino al midollo, richiederà tempo e pazienza per raggiungere uno stadio più sereno e ne varrà dal mio punto di vista la pena.
In definitiva ancora una volta un Sabbie di Sopra al Bosco totalmente fedele all’annata di provenienza, probabilmente destinato a riscontri e letture diverse, in base al tipo di gusto ma anche in rapporto ai momenti di apertura.
E’ plausibile che convinca meno delle due versioni precedenti chi cerca nei rossi caiatini prima di tutto un passo estroverso e goloso, da godere senza tanti pensieri.
Sono altrettanto convinto che farà appassionare, e non poco, i bevitori abituati a misurarsi con tipologie nervose ed austere, meglio ancora se plasmate da vendemmie classiche come la 1995, la 1999 o la 2004 in Toscana. Mi è scattata automatica l’associazione con molti vini di queste annate assaggiati nell’ultimo lustro, che stanno trovando pian piano equilibrio confermandosi di straordinario fascino.
Il Sabbie di Sopra il Bosco 2013 è blend di pallagrello nero (90%), aglianico (5%) e casavecchia (5%). Ne sono state prodotte 7.810 bottiglie, si troverà in enoteca intorno ai 25 euro.
Nanni Copè
Indirizzo: Via Tufo, 3 – Vitulazio (CE)
Telefono: +39 330 879815
Sito Internet:www.nannicope.it
Email: nc@nannicope.it
Superficie aziendale vitata: 2,5 ha
Produzione annua (media): 7.500 bottiglie
Visite e vendita diretta in azienda