A cura di Paolo De Cristofaro
DOP-DOCG Vesuvio
Area viticola: Vesuvio
Città Metropolitana di Napoli
Denominazione di Origine istituita nel 1991, la DOP Vesuvio comprende 16 comuni collocati alle pendici del complesso vulcanico Vesuvio-Monte Somma. È un’area densamente popolata ed urbanizzata, dove l’occhio fa fatica a cogliere con immediatezza le secolari radici agricole: le coltivazioni si sono spostate progressivamente verso le aree più interne e gli spazi dedicati alla vigne si sono significativamente ridimensionati rispetto a qualche decennio fa.
Per quanto riguarda le condizioni pedoclimatiche, naturalmente gli aspetti più importanti sono legati all’influenza del mare Tirreno e del complesso vulcanico Somma-Vesuvio, che si pone praticamente al centro di un comprensorio circolare con diverse quote altimetriche, tipologie di suolo ed esposizioni.
L’attuale viticoltura vesuviana si concentra tra le ultime falde fino ai due terzi dell’altezza del Vesuvio, la cui vetta supera i 1.000 metri di altitudine. La porzione più consistente dei siti è collocata dunque tra i 50 e i 400 metri, su terreni leggeri e drenanti, di tessitura fondamentalmente sciolta, ricoperti da depositi piroclastici di ricaduta o di flusso (ceneri, lapilli e pomici, soprattutto).
È per molti versi possibile distinguere due macro-zone, quella che comprende l’Alto Colle Vesuviano sul versante nord-ovest (tra San Sebastiano, Massa di Somma e Sant’Anastasia) e quella che si snoda nel quadrante sud-orientale, tra Boscoreale, Trecase, Boscotrecase e Terzigno. Sul versante nord-ovest prevalgono i siti ubicati in pendio sopra i 200 metri, nella fascia opposta sono più evidenti i materiali di natura piroclastica (depositi di ricaduta o di flusso) che si innestano su suoli di tessitura tendenzialmente sciolta.
Per quel che concerne i vitigni a bacca rossa, in tutta l’area è largamente maggioritaria la coltivazione del piedirosso, anche detto palummina, a cui si affiancano sciascinoso e quote crescenti riservate all’aglianico. Tra i vitigni a bacca bianca meritano attenzione caprettone e catalanesca, diffusi ormai solo nell’area del Vesuvio, affiancati da varietà più “campane” come coda di volpe, falanghina, greco o la rara verdeca.
Il disciplinare prevede per la DOP 8 tipologie, cinque delle quali dedicate agli uvaggi del Lacryma Christi (Bianco, Bianco Spumante, Bianco Liquoroso, Rosato e Rosso). Il nome di questa tipologia è legato ad un mito tramandato fin dall’epoca romana e probabilmente adattato in chiave cristiana durante il medioevo.
Si narra che Lucifero, l’angelo ribellatosi a Dio e poi diventato il principe dei demoni, strappò un pezzo di Paradiso durante la sua caduta verso gli inferi. La leggenda vuole che questo angolo di Eden fosse il Golfo di Napoli e che Cristo, addolorato per la contestuale perdita dell’angelo più amato e di quel pezzo di cielo, non poté fare a meno di piangere. Là dove caddero le sue lacrime nacquero delle viti rigogliose, il cui vino si chiamò, appunto, Lacryma Christi.
301,86 ettari è la superficie vitata idonea a produrre vini rivendicabili attraverso la DOP Vesuvio.
Nella vendemmia 2018 sono stati rivendicati poco più di 9.650 ettolitri, riferiti a quasi 168 ettari, per una produzione potenziale di poco superiore a 1.285.000 bottiglie (Dati Agea-Sian).