Chiudiamo il nostro piccolo “Speciale Falerno” (potete recuperare i precedenti articoli qui, qui, qui e qui) dando spazio alla leggenda spesso ricordata per evocare le radici millenarie e l’aura mitica dei vini del Massico. Come si può notare, è un tipo di racconto che ritorna continuamente anche in altri territori di lunga tradizione vitivinicola, della regione e non solo, seppur con personaggi diversi e sensibili variazioni di “trama”. E’ divertente, in questo senso, confrontare la versione regolarmente richiamata per il Falerno con quella di altri vini dalla storia suggestiva e profonda, come il Lacryma Christi del Vesuvio e l’Erbaluce di Caluso.
Bacco e l’anziano agricoltore Falerno
Secondo il mito narrato da tanti cronisti di età romana, a partire da Silio Italico, fu Bacco in persona a dar vita al vino più celebrato e costoso dell’antichità, nonché una delle prime “denominazioni” della storia. L’eccentrica divinità si era presentata sotto mentite spoglie ad un anziano agricoltore di nome Falerno che viveva alle falde del monte Massico. Nonostante la sua umile condizione, il vecchio offrì al viandante tutto ciò che aveva: latte, miele, frutta. Commosso, Bacco trasformò il latte in un vino da 100 punti Parker: ricco, armonioso, longevo. Ne diede da bere all’agricoltore e questi si addormentò per scoprire al risveglio che tutto il declivio del Massico era stato trasformato in un florido vigneto, capace di plasmare un nettare incantevole, destinato alle tavole degli imperatori.
Lucifero e le lacrime di Cristo
Molte delle “leggende” a tema vino nascono all’interno della mitologia pagana, ma sono state poi riprese ed adattate dalla tradizione cristiana. Pensiamo per esempio a quella che racconta le origini immaginifiche della viticoltura vesuviana e della sua tipologia più conosciuta.
La storia si riallaccia alla lezione giudaica secondo la quale Lucifero, l’angelo più bello e sapiente del Paradiso, si ribellò a Dio. Desiderava soppiantarlo e per questo guidò nella rivolta altri angeli trasformatisi in demoni. Finché, schiacciato dalla sua superbia, Lucifero cadde dal cielo insieme al suo esercito maligno, per sprofondare nelle viscere della terra e diventare il sovrano dell’inferno. Prima di precipitare, però, strappò dall’Eden uno scorcio meraviglioso, quello che poi sarebbe diventato il Golfo di Napoli. Affranto per questa doppia perdita, Dio nella sua forma trinitaria pianse e là dove caddero le sue lacrime, alle pendici del Vesuvio, germogliarono le viti del prezioso Lacryma Christi.
Caluso e la Ninfa Erbaluce
Non meno suggestiva è la favola che si tramanda nel Canavese per raccontare la nascita del suo vino bianco più rinomato, quell’Erbaluce che trova sulle colline moreniche attorno Caluso l’habitat ideale per esprimere le sue doti di vitigno caratterizzato e versatile. Una tradizione molto sentita nella comunità locale, al punto che ogni anno, nel mese di settembre, in occasione della Festa dell’Uva di Caluso, alla ragazza più dolce e più bella viene assegnato il titolo di Ninfa Erbaluce, da custodire e onorare fino all’edizione successiva. Ecco la versione integrale della favola, come riportata sulla pagina della Strada Reale dei Vini Torinesi:
«Un tempo le colline lasciate dai ghiacciai erano abitate dalle ninfe dei laghi, dei boschi e delle sorgenti ed erano venerate insieme a Notte, Sole, Luna, Venti e Stelle.
Alba era una di queste Dee ed un giorno, sulla riva del ruscello, incontrò il Sole. Si innamorarono, ma non potevano vedersi mai. L’impossibilità di questo amore fece intervenire la Luna che, complice, decise un giorno di non lasciare il Cielo, ma di interporsi sul cammino del Sole in modo che questi potesse raggiungere nascosto la Terra ed incontrare l’amata Alba.
Da quella eclisse nacque Albaluce, con occhi color del cielo, pelle di rugiada e lunghi capelli splendenti come raggi di sole. La fama della sua bellezza spinse gli abitanti della zona ad offrirle doni e omaggi in giorni di festa, fino a quando i frutti del lago non furono più sufficienti, né ad offrire doni, né al sostentamento. Occorreva terra da coltivare e per questo si scavò un grande canale per far defluire le acque del lago. Ma le acque del lago tutto travolsero seminando morte.
La ninfa Albaluce pianse per il dolore e dalle sue lacrime, pianto del Sole e dell’Alba, si alzarono lunghi tralci, ricchi di dolci e dorati grappoli di succosa uva bianca».