Il testo che segue è un estratto dell’articolo pubblicato sul numero 57 di Enogea – II Serie (link), il bimestrale indipendente ideato, edito e diretto da Alessandro Masnaghetti. Si tratta dell’introduzione che apre il racconto dedicato alla fantastica verticale del Greco di Tufo Vigna Cicogna dell’azienda Benito Ferrara. Dodici annate scelte in una finestra di vent’anni (dal 2013 al 1994), che hanno confermato la statura assoluta di quello che nei fatti è uno dei primi cru “storici” d’Irpinia (ndr).
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Ci sono parole letteralmente salvifiche per chi si misura col lavoro di racconto critico. Veri e propri jolly a cui ricorrere quando il terreno si fa scivoloso, grazie alla loro capacità di coprire più livelli di senso in una dimensione volutamente ambigua. Uno di questi è sicuramente il termine: popolare. Nove volte su dieci l’esperto di turno non lo piazza propriamente con l’intenzione di chi vuole fare un complimento. Vale per una canzone, un film, un programma televisivo, e per il mondo del vino funziona più o meno allo stesso modo. Le storie di successo non possono essere ignorate e l’aggettivo casca a fagiuolo per tutta una serie di sottintesi. Da una parte assolve alla funzione celebrativa, dall’altra suggerisce una più o meno evidente dose di distacco, senza compromettere la possibilità di tornare sui propri passi.
In linea di massima tutto ruota attorno alla convinzione che la popolarità debba per forza avere a che fare con facilità e immediatezza, perché difficilmente fa breccia nel grande pubblico qualcosa di veramente complesso e stratificato. E’ la solita storia del cinepanettone confrontato alla pellicola d’essai. O quella del comico “riabilitato” solo quando il regista illuminato gli affida un ruolo drammatico dopo anni di tormentoni e macchiette. Come il Diego Abatantuono di turno, per capirci, che mette da parte il “terruncello” per svelare la sua sensibilità più malinconica con Pupi Avati in Regalo di Natale.
Popolare e ambizioso: Greco superstar
Sembra esattamente la parabola del Greco di Tufo, vino pop nel senso più vero del termine. Da oltre un quindicennio è segnalato da tutte le ricerche sul campo e dalle statistiche di Censis Servizi come il bianco italiano più conosciuto, richiesto e servito nei ristoranti e wine bar del bel paese. E’ un nome familiare per “la casalinga di Voghera”, ma anche per l’enotecaro di Melbourne, è di gran lunga la tipologia campana (insieme alla falanghina) che meno ha risentito per volumi di vendita e prezzi della difficile congiuntura economica, ma al tempo stesso quella che più sta crescendo negli ultimi anni nella considerazione di critici e operatori professionali.
Come detto non è sempre stato così: nonostante il notevole e costante riscontro commerciale, o forse proprio a causa di questo, per un lungo periodo il Greco di Tufo è stato trattato dalla stampa di settore con una certa sufficienza. A maggior ragione se paragonato al suo compagno di territorio, quel Fiano di Avellino con cui andrà sempre inevitabilmente in coppia, almeno fino a quando saranno proposti fianco a fianco nelle gamme della stragrande parte delle aziende irpine. Un confronto continuo, per il quale il Greco è stato spesso confinato nel ruolo di vino caratterizzato ma rustico, là dove il Fiano veniva indicato come la varietà nobile, di caratura potenzialmente internazionale.
Oggi le distanze sembrano progressivamente accorciarsi, in alcuni casi quasi ribaltarsi: sono in tanti, tra addetti ai lavori e bevitori evoluti, che in questa fase si trovano maggiormente in sintonia con la scalpitante imprevedibilità del vitigno tufese, considerata talvolta più divertente e stimolante in rapporto al suo gemello diverso. Una tendenza che può essere inquadrata in una duplice chiave di lettura. Da una parte c’è il naturale turnover di gusti e preferenze, che in ogni epoca prova ad individuare i migliori antidoti all’abitudine e alla noia. Dall’altra c’è da considerare uno scenario produttivo indubbiamente cambiato rispetto a poco più di un lustro fa.
Complice un filotto di annate particolarmente favorevoli per la tipologia, inaugurate con la 2006, è sicuramente salito il livello dell’offerta ed è aumentato il numero di interpretazioni interessanti e personali, da scovare in mezzo ad altre decisamente più banali e scontate. Eppure rimane decisamente ristretto il gruppo dei veri fuoriclasse capaci di illuminare tutte le potenzialità del Greco. Pochi ma particolarmente significativi, dunque, e tra questi c’è senza dubbio il Vigna Cicogna della famiglia Ferrara. Per capire il valore straordinario della verticale che stiamo per raccontarvi, bisogna partire necessariamente da queste considerazioni.
Un bianco “interattivo”
Non si può certo parlare di un percorso compiuto, anzi, per molti versi siamo proprio nel mezzo di quel guado che potrebbe consentire al Greco di Tufo di entrare stabilmente nell’élite dei grandi bianchi europei. Il Fiano di Avellino ci sta riuscendo più rapidamente grazie ad una più chiara riconoscibilità varietale e territoriale, associata a standard percepiti superiori alla media nazionale. Ma nella felice reputazione sta pesando soprattutto la massa significativa di bottiglie incontrate in perfetta forma a dieci e più anni dalla vendemmia, proposte oltretutto da aziende trasformatrici di Fiano molto diverse tra loro per storia, volumi e opzioni tecniche. Il panorama stilistico e qualitativo della denominazione tufese è invece più eterogeneo, per mille motivi. Quando il Greco è buono, però, è un vino che sa colpire al cuore, regalando delle vibrazioni che il Fiano forse non riesce sempre a smuovere con la sua eleganza a volte percepibile quasi come altera freddezza.
C’è anche un altro aspetto da considerare. Un magnifico Fiano d’antan sa essere autorevole e complesso, ma si muove in un ambito espressivo tutto sommato familiare per chi ama i bianchi da invecchiamento, su atmosfere non così diverse da quelle che troviamo di solito nei vecchi Riesling, Chablis o Loira. E’ statisticamente più raro, almeno fino ad oggi, imbattersi in Greco ultradecennali perfettamente integri, ma quando si ha la fortuna di pescare la bottiglia giusta ci si immerge in un viaggio organolettico per molti versi unico. Un volo senza paracadute, dove non ci sono modelli consolidati a cui rifarsi, al contrario: al piacere dei sensi si aggiunge quello derivante dalla partecipazione creativa ad un momento di comprensione e interpretazione. Il bevitore del Fiano è uno spettatore seduto in platea che si gode tranquillamente lo spettacolo, l’appassionato di Greco è parte integrante ed attiva della rappresentazione, come accade in alcune declinazioni di teatro sperimentale. Il grande Greco, insomma, è un vino “interattivo”, con una scintilla anarchica, una vocazione da bastian contrario, un’anima jazz, che si colgono in pieno quando si passa dalla filosofia al bicchiere e alla tavola. […]
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