Anch’io come Mauro sono rimasto a dir poco sorpreso spulciando una serie di documenti dedicati ai rossi di Gragnano in epoca “pre-Totò” (link al post di Mauro Erro). Uno stupore pienamente condiviso dai giornalisti e dai produttori che hanno partecipato al seminario sul Piedirosso inserito nel programma di Campania Stories I Vini Rossi 2014 (link), con i quali ci siamo trovati a rileggere alcuni passi decisamente spiazzanti rispetto all’immaginario collettivo legato ai vini della Penisola Sorrentina.
Molta curiosità ha suscitato, specie nei colleghi stranieri, un testo scritto dall’agronomo Domenico Froio quasi un secolo e mezzo fa, nel 1876. Sentite un po’:
«A Gragnano, ove il terreno è calcareo e predomina il vitigno detto Piede di Colombo, si fa eccellente vino rosso molto profumato che invecchiando assomiglia al vino Boucholais; disgraziatamente manca chi lo conservi per farlo migliorare percicchè si vende nell’anno per consumo giornaliero».
Come nella guida enogastronomica d’Italia del Touring Club del 1931 ricordata da Mauro nel suo ultimo post, anche qui ritorna il paragone tra il piedirosso sorrentino e il gamay borgognone, perfettamente disegnato nelle specifiche espressive. Aggiunge infatti Froio:
«Nelle contrade esposte ad oriente ed a mezzogiorno i vini rossi sono più sottili, e molti di essi, invecchiando, acquistano naturalmente l’odore della radice dell’iride fiorentina. Questa particolarità tanto preziosa si osserva però solamente quando nei vigneti predomina l’uva detta Piede di Colombo».
Ma non finisce qui. Froio non si limita a descrivere dei caratteri per molti versi inediti o comunque poco approfonditi, ma si spinge fino a suggerire una vera e propria gerarchia varietale del terroir, con buona pace della retorica da biodiversità ad ogni costo. Il passaggio chiave in questo senso è il seguente:
«Credo che si debba solamente insistere perché da questi vigneti vesuviani sieno tolte tante uve cattive, sia la coltura ristretta a poche varietà, tra le quali primeggi la Piede di Colombo ed anche l’Olivella».
Non mancano, insomma, lucide e radicate testimonianze sulla vocazione vitienologica della Penisola Sorrentina, ma è ancora piuttosto difficile farle dialogare in maniera armonica con quello che è accaduto e sta accadendo nel distretto in tempi relativamente recenti. Viaggiando tra le colline di Gragnano e Lettere si ha immediatamente la percezione di una viticoltura storica, perfino ancestrale nel suo disordine e nella sua parcellizzazione, ma è un imprinting che si rivela ancora troppo mimetizzato, bicchieri alla mano.
Nonostante i continui richiami alla tradizione commerciale, gastronomica e culturale, quello sorrentino è un distretto che si sta faticosamente costituendo da meno di trent’anni. E, come quasi sempre è accaduto in tante zone rurali della Campania, ci è voluta la determinazione di veri e propri “pionieri” per dare ai rossi frizzanti dei Monti Lattari una prospettiva almeno immaginata fuori da un consumo esclusivamente locale. Il principe De Curtis è diventato il testimonial più famoso, ma il Gragnano dei suoi tempi evocava una tipologia “generica” di rosso mosso più che quella di un vino con una chiara identità stilistica e territoriale. Locande e bottiglierie si approvvigionavano stagionalmente nelle cantine, spillando i vini direttamente dalle botti e tappandoli con chiusure di plastica, non esistevano le autoclavi e le spumantizzazioni erano condotte in maniera totalmente “artigianale”. I primi Gragnano imbottigliati così come li conosciamo oggi, con una tracciabilità certificata di annate e provenienze, risalgono alla fine degli anni ’80 e sono legati a doppio filo al lavoro portato avanti dalla famiglia Martusciello a Grotta del Sole. Angelo si era occupato della parte “antropologica”, rintracciando le radici viticole ed umane di una tradizione radicata nel vissuto popolare ma comunque confusa, Gennaro ebbe un ruolo decisivo da un punto di vista tecnico, grazie anche e soprattutto alle esperienze maturate durante gli studi a Conegliano (in Veneto), che negli anni ’60 e ’70 era indiscutibilmente la capitale spumantistica italiana insieme a Canelli (in Piemonte).
Se il Gragnano delle osterie e delle salumerie senza etichetta si vendeva intorno alle 1.000 Lire, quello di Grotta del Sole veniva proposto ad oltre 7.000. Un progetto estremamente chiaro in nelle ambizioni di recupero e valorizzazione, assecondato anche sul piano “legislativo”: Gragnano e Lettere venivano identificate come sottozone della doc Penisola Sorrentina e vincolate esclusivamente alla rivendicazione dei tradizionali rossi frizzanti. Una scelta molto diversa da quella adottata il più delle volte nelle altre aree della regione, con una rosa molto ampia di tipologie e sottotipologie previste in ogni denominazione.
L’attuale produzione di Gragnano e Lettere della Penisola Sorrentina può essere stimata intorno alle 250-300.000 bottiglie annue, proposte da una decina di aziende, perlopiù di medie dimensioni (quanto meno rispetto agli standard regionali). Quasi tutti sono rifermentati con metodo charmat e commercializzati dopo pochi mesi dalla vendemmia, qualche volta addirittura prima delle festività natalizie. Del resto molti degli abbinamenti più “classici” e codificati per questi vini si esaltano con piatti decisamente invernali e rituali, anche del periodo carnevalesco e pasquale, dalle lasagne alle pizze chiene, senza dimenticare i piatti “squilibrati” della cucina partenopea che sembrano nati apposta per comparire a tavola al fianco di un Gragnano, pizza, parmigiana di melanzane, sartù di riso o ragù di carne che siano. C’è quasi sempre una più o meno accentuata abboccatura, infatti, che può funzionare bene nel bilanciare le tendenze acidule di preparazioni dove il pomodoro è grande protagonista, mentre la carbonica aiuta a ripulire gli apporti più grassi ed untuosi. Per non parlare delle zuppe ricche di pesce e altri piatti della gastronomia di costa, che spesso invogliano a stappare un rosso sorrentino frizzante, magari servito a temperatura di cantina e perfino un po’ più fresco.
Praticamente tutti i Gragnano e i Lettere in circolazione vengono venduti in enoteca tra i 6 e i 10 euro: prezzi decisamente abbordabili per vini che non riescono tuttavia a “sfondare” fuori dalla Campania. Da una parte la limitatissima massa critica non incoraggia di certo uno sforzo in termini di promozione e comunicazione su mercati lontani, dall’altra la relativa gioventù del distretto spiega il perché di alcuni nodi non ancora risolti in termini di maturità stilistica e territoriale. Gran parte delle realtà imbottigliatrici acquistano in zona uve e vini, ma hanno le cantine collocate in altre aree della provincia di Napoli, Vesuvio e Campi Flegrei soprattutto. Sono aziende che di solito propongono una batteria piuttosto ampia di etichette, dove i rossi dei Monti Lattari trovano piena dignità ma non si configurano di certo come top di gamma. Nel gruppo non manca qualche piccolo vigneron che si concentra quasi esclusivamente sul Gragnano o sul Lettere, magari spumantizzandoli con metodo classico, ma i punti di riferimento qualitativi per le tipologie restano le aziende tecnicamente e commercialmente più “strutturate”.
Il livello medio è sicuramente cresciuto nel corso degli anni, ma solo in rari casi sono vini che danno l’impressione di andare oltre il “compitino” della mera correttezza tecnica. Nelle migliori riuscite sono rossi golosi e spensierati, come detto particolarmente adatti alla tavola, ma assaggiandoli insieme, gli uni accanto agli altri, risulta difficile cogliere delle differenze sostanziali da un punto di vista territoriale e stilistico, al di là dello specifico gradimento personale. Sarebbe un momento decisamente favorevole per spingere vini con questa fisionomia, eppure i Gragnano-Lettere di oggi rischiano di perdere il treno buono. Lo stesso che ha aiutato il Lambrusco ad affrancarsi in questi anni dall’immagine di generico “rosso con le bolle” per diventare segmento di tendenza, da declinare assolutamente al plurale. Non “il” ma “i” Lambrusco, ricercati ed esplorati oggi anche dagli appassionati più esigenti proprio grazie alle punte di eccellenza ma soprattutto al ricco panorama di cloni, interpretazioni, colori, metodi produttivi, sottozone e veri e propri cru raccontati nei vini. Quello emiliano è chiaramente un distretto completamente diverso dal sorrentino per forza economica, superfici, numeri, ma non sono il solo ad essere convinto che ci sarebbe eccome uno spazio per creare un plus di attenzione sui rossi giovani per eccellenza dello scacchiere vitienologico campano.
Come suggerisce il crescente e trasversale successo di tipologie per lungo tempo “snobbate”, piedirosso flegreo e vesuviano in testa, vale forse la pena di pensare ad uno sforzo ulteriore per aggiungere originalità e sfumature ai custodi più famosi della viticoltura dei monti Lattari. Ecco intanto un piccolo promemoria che potrà tornare utile agli appassionati che hanno voglia di misurarsi con il Gragnano e il Lettere del terzo millennio: sono le aziende che hanno finora dimostrato di puntare con maggiore convinzione su questi vini, le più reperibili sui mercati ma anche le più costanti e continue. Troverete in giro i loro 2013, millesimo eterogeneo, fresco e piovoso, sulla carta non il migliore possibile per tipologie che di solito amano invece le stagioni calde ed asciutte, ma forse anche più adatto per cogliere quelle differenze interpretative che a volte risultano un po’ troppo appiattite. Praticamente impossibile, invece, recuperare qualche bottiglia “vecchia”, con buona pace delle annotazioni di Domenico Froio e della guida del Touring Club.
Grotta del Sole: come ricordato precedentemente, è il marchio che per primo ha provato ad immaginare un progetto vitienologico, imprenditoriale e commerciale “moderno” sui vini della Penisola Sorrentina, e non solo. La cantina si trova a Quarto, nei Campi Flegrei, e nella gamma proposta dalla famiglia Martusciello compaiono sia il Gragnano che il Lettere, caratterizzati quasi sempre da uno stile soffice e rotondo, nitido ma forse a volte un po’ troppo “pettinato” negli apporti dolci e fermentativi.
Astroni: l’azienda di proprietà della famiglia Varchetta, guidata da Gerardo Vernazzaro ed Emanuela Russo, prende il nome dalla collina-cratere che domina da ovest la città di Napoli. E’ qui che sorge la cantina e nella ricca batteria incontriamo un Gragnano e un Lettere nella Linea Tradizione e da qualche tempo un secondo Gragnano nella Linea Selezione: nelle ultime vendemmie si segnalano tra le letture più toniche ed austere, dotate di bella vivacità sapida, con un tocco piacevolmente asciutto.
Cantine Federiciane: avviata nel 1995 da Paolo Palumbo e Giuseppina Zamparelli, l’azienda si trova a Marano di Napoli, nei Campi Flegrei, e vede oggi impegnati a tempo piano i fratelli Marco, Antonio e Luca. Precedentemente conosciuti anche col marchio “Monteleone”, i Gragnano e i Lettere di Cantine Federiciane sono spesso riconoscibili per qualche tocco leggermente riduttivo ma ben al riparo da ridondanze lievitose, associato ad una silhouette gustativa snella ed essenziale, di bella naturalezza espressiva.
De Falco: Gabriele e Angelo De Falco sono al timone di un’azienda da circa 400.000 bottiglie annue e una gamma che copre diverse denominazioni campane, che ha il quartier generale a San Sebastiano al Vesuvio. Forse un po’ incostante nelle diverse annate, il Gragnano di De Falco si fa spesso apprezzare per il tocco solido e polposo, approfondito da bei richiami floreali ed affumicati.
Sannino: c’è spesso una pronunciata abboccatura a marcare i Gragnano della famiglia Sannino, proprietaria dell’omonima cantina-tenuta di Ercolano, cuore dell’area vesuviana. Al naso prevalgono di solito aromi dolci e primari, a comporre un quadro espressivo forse non particolarmente originale, ma facile ed immediato.
Iovine 1890: è l’unica azienda di questa piccola selezione a sviluppare la sua produzione interamente nell’area sorrentina, precisamente a Pimonte. Attiva da quattro generazioni, è guidata oggi da Aniello Iovine e nella copiosa gamma spiccano un Gragnano e un Lettere “classici”, prodotti con metodo charmat, a cui si affianca il Terre del Gragnano, rifermentato in bottiglia. Acidità a volte spigolose, tannini mordenti, corpo sottile e presa di spuma leggera: non sono vini per tutti i palati ma sono spesso indicati come riferimento per chi cerca letture un po’ “vecchio stile”.