Settimane che vanno, settimane che vengono. Quella appena trascorsa va in archivio con il solito psicodramma all’italiana, che trasforma tutto da trionfo a disfatta (o viceversa) in base ad una singola partita. La sconfitta con la Costa Rica obbliga a strappare almeno un pareggio nella sfida decisiva di domani pomeriggio contro l’Uruguay di Suarez e Cavani, indietro in classifica per la differenza reti ma con inerzia psicologica dalla loro parte. Carichi e motivati là dove a casa Italia sembra dominare depressione e disfattismo. A dispetto di ogni manifesto prandelliano, è facile immaginare 90 minuti di barricate (no, il rovere piccolo francese non c’entra stavolta) nella più classica tradizione nostrana: match fortemente sconsigliato ai deboli di cuore e a chi, più in generale, non ha alcuna voglia di soffrire. Come dice Roy Hogdson, ct della nazionale inglese eliminata proprio dalle due contendenti di domani, «ci si può divertire anche senza alcol, ma perché correre il rischio?» Meglio avere, dunque, qualche bella bottiglia a portata di mano, in funzione anestetizzante o preventivamente consolatoria: perdere di vista nei fumi la differenza tra catenaccio e calcio totale può tornare parecchio utile, datemi retta.
A proposito di bottiglie, la settimana appena chiusa se ne va anche col suo consueto carico di stappature casalinghe. Di quelle che solitamente non trovano spazio nei racconti di riviste e blog, che tendono ormai a privilegiare gli assaggi dal molto buono in su, con preferenza per l’emozionante e l’eccezionale, o quelli che comunque offrono uno spunto di discussione, spostando l’attenzione dal singolo bicchiere a tematiche più “generali”. E’ un meccanismo per molti versi inevitabile, ma mi sono spesso chiesto dove vanno a finire le bottiglie “normali”, quelle di cui nessuno parla ma che si stappano non dico tutti i giorni ma nemmeno una volta ogni morte di papa. Vinicio Capossela immagina un “paradiso dei calzini”, dove si ricongiungono pedalini e accessori vari misteriosamente separati dal passaggio in lavatrice. A me piace fantasticare su un virtuale eden dove si ritrovino flaconi vuoti che sono stati semplicemente bevuti, più o meno con soddisfazione, senza generare punteggi da 95 centesimi o ragionamenti sui massimi sistemi. Ogni tanto forse è giusto parlare anche di questi e allora ecco le mie bottiglie dell’ultima settimana, con i loro più e meno.
Costa d’Amalfi Bianco PerEva ’09 – Tenuta San Francesco
E’ il bianco di “punta” della Tenuta San Francesco *, progetto nato nel 2004 per volontà di Gaetano Bove e altri tre soci, articolato oggi su poco meno di dieci ettari, un terzo dei quali di proprietà. Blend di falanghina, pepella e ginestra provenienti dalla Vigna dei Preti, ubicata alla frazione Ponte di Tramonti (in Costa d’Amalfi), è affinato in acciaio con lunga sosta sur lie ed è commercializzato ormai ad oltre un anno dalla vendemmia. Il 2009 riassaggiato in settimana convince per freschezza aromatica e riconducibilità territoriale, ma sconta i limiti dell’annata in termini di forza sapida e lunghezza gustativa. E’ un ottimo momento per stapparlo in presenza di una tartare di pesce azzurro.
+ facilità di beva, respiro balsamico e citrino
– non ha la profondità e la persistenza delle migliori riuscite (2008 in testa)
Fiano di Avellino Faliesi ’08 – Urciuolo
Nato nel 2004 come selezione di Fiano da affiancare al “base”, il Faliesi è diventato negli anni successivi il marchio di riferimento per tutta la linea “alta” proposta dai fratelli Ciro e Antonello Urciuolo *. Non un cru in senso stretto, ma un’idea di Fiano sviluppata soprattutto in cantina sulla base degli assaggi e dei valori analitici: Forino, Candida e Lapio le zone di provenienza delle uve, vinificate separatamente e poi selezionate in base alla maggiore dotazione di estratti, acidità, alcol. Un’idea un po’ “anni ‘90”, se vogliamo, almeno nelle prime uscite, più quantitativa che territoriale, ma che raramente delude alla prova del bicchiere. Non fa eccezione questo 2008 rincontrato in perfetta forma, a dir poco integro nel gioco di arbusti e frutta gialla, erbe da cucina con pregevolissimo fondo fumé.
+ Integrità, solidità, struttura
– manca un po’ di grinta e di sapidità, troppo grasso per chi cerca fiano più “longilinei”
Falanghina Via del Campo ’08 – Quintodecimo
E’ per molti versi l’etichetta meno celebrata nella gamma proposta da Luigi Moio e Laura Di Marzio a Quintodecimo *, la tenuta-chateau creata a Mirabella Eclano in questi anni. Ingiustamente, ho spesso pensato, considerando soprattutto le prime uscite addirittura più “felici” dal mio punto di vista nel dialogo col rovere nuovo (utilizzato per un 30% nella fermentazione e nell’elevage) rispetto agli altri bianchi di casa, il Fiano Exultet e il Greco Giallo d’Arles. Il riassaggio della vendemmia 2008, prodotta con uve acquistate nel Sannio (mentre oggi è un’Irpinia Falanghina proveniente d una parcella di proprietà a Piano dei Greci, sempre in territorio di Mirabella) dà indicazioni leggermente diverse: è già in una fase piuttosto matura, tra spezie e frutta candita, coerentemente raccontata da un sorso tondo e risolto. Magari è una bottiglia non particolarmente performante, ma l’ho ritrovato meno tonico e brillante rispetto a come lo ricordavo all’uscita.
+ ricchezza di frutto, buona integrazione del rovere sul piano aromatico
– dolcezza di ingresso e sviluppo, non totalmente supportata dallo scheletro verticale, con chiusura un po’ troppo brusca e asciutta
Fiano di Avellino Vigna della Congregazione ’04 – Villa Diamante
Con Antoine Gaita ci scherziamo spesso: il Vigna della Congregazione sembra amare le annate pari (almeno fino alle ultime vicende legate all’uscita in commercio della 2012, di cui abbiamo parlato recentemente – vedi link). Una delle più “pronte” tra queste è sicuramente la 2004, molto espressiva e “montefredaniana” all’uscita ma già da qualche tempo “in calando”. Capiamoci, il carattere è sempre quello che in tanti apprezzano nel cru di Villa Diamante, ma in questi ultimi anni il vino ha perso un po’ di mordente, evidenziando con maggiore chiarezza quel minus di forza e materia che si accompagnano ad un millesimo quantitativamente abbondante, umido e tardivo.
+ carattere affumicato e agrumato, riconoscibilità stilistica e territoriale, beva snella
– qualche cenno evolutivo di troppo, tempra minerale meno trascinante del solito, chiusura repentina