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Le tribù della vendemmia 2014: maledizioni, annunci, favole e crisi di nervi

La vendemmia 2014 entra nel vivo, come sottolineato qualche giorno fa in un post speriamo utile per inquadrare le premesse climatiche e produttive del nuovo millesimo in Campania (link). Very crazy vintage, avremmo twittato da New York, una follia meteorologica ed agronomica perfettamente restituita dallo scenario comunicativo di questi mesi. Mai come in questa stagione i produttori italiani sono stati tanto attivi in prima persona, tra social network e comunicati stampa. Non sono mancate discussioni accese e riflessioni polarizzate nel modo di vivere e raccontare l’annata in corso, che in diversi casi hanno coinvolto un po’ tutti i protagonisti della filiera, dagli operatori commerciali agli appassionati “privati”, dai tecnici ai critici, e così via. Si sono create delle vere e proprie “tribù”, ciascuna con i suoi slogan, tormentoni e bersagli, che proviamo qui a passare scherzosamente in rassegna.

Crediti foto: disegnidacolorareonline.com

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1. Annata disastrosa, ma a noi è andata bene. Il primo gruppo significativo è costituito interamente da produttori. E’ una delle tribù più stabili, sparsa trasversalmente su tutto lo stivale, che trova modo di far sentire la sua voce anche in annate molto meno complicate di questa. Sono quelli che «ha fatto freddo, ha piovuto, ha grandinato, la peronospora ha ballato la samba in tutta la zona, ma da noi no, noi siamo stati fortunati, abbiamo un’uva meravigliosa». Fortunati? Voi dovete immediatamente giocarvi sei numeri al superenalotto, verrebbe da rispondere subito. La grandine l’ha presa la vigna del vicino, ha piovuto nel comune accanto, tutti hanno dovuto fare venti trattamenti, loro solo un paio. Di solito alla fine ti spiegano che quella è una delle loro migliori annate di sempre.

Crediti foto: topgear.com

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2. Siamo un’azienda seria, non facciamo il 2014. Anche questa è una squadra formata praticamente solo da produttori, che si manifesta tuttavia solo in annate mediaticamente a rischio. In ogni vendemmia ci sono etichette che “saltano”, per colpa di una gelata o di una grandinata, per una materia prima non considerata all’altezza o per una quantità insufficiente, ma di solito operatori e consumatori lo scoprono “a valle”, specie se viene a mancare qualche mito, tipo il Monfortino di Conterno, la Riserva di Biondi Santi, i trebbiano e montepulciano di Valentini, e così via. Fino agli anni ’90 accadeva molto più frequentemente, specialmente per quel che riguarda i “vini di punta”, vissuti storicamente in buona parte come selezioni e riserve da proporre solo in millesimi eccezionali. Succede più raramente oggi, per amor di verità, anche perché si restringe molto la rosa delle annate davvero disastrose per i viticoltori, grazie ai cambiamenti climatici, alla diffusa crescita agronomica e tecnica, al miglioramento degli “strumenti di difesa”, e così via. Quando succede, però, nell’epoca del vino globale, quasi più parlato che bevuto, per qualcuno diventa addirittura un’occasione virtuosa di promozione del proprio marchio.

stop production

La raccolta 2014 si completerà in Italia tra quasi due mesi, ma già sappiamo che alcune importanti aziende, specie del nord-est, non produrranno i loro vini più importanti (niente Amarone per Bertani e Dal Forno, per esempio). Gli uffici stampa lavorano alacremente per diffondere queste notizie, come già accadde nel 2002, con un sottinteso fin troppo chiaro del tipo «noi siamo una realtà seria e rinunciamo ad una parte del fatturato nel rispetto del consumatore, che quando stappa una bottiglia col nostro nome si aspetta di trovare sempre una qualità altissima, non garantibile in una vendemmia così». Purtroppo in alcuni casi si innescano meccanismi assai meno lineari e collettivamente graditi: vuol dire forse che gli altri produttori della zona non sono così seri se non fanno la stessa scelta? Molto dipende chiaramente dalla forza mediatica e dalla notorietà del marchio che ricorre al – pienamente legittimo, intendiamoci – “marketing della rinuncia”, ma anche e soprattutto dalla solidità e dalla compattezza del distretto in cui opera.

Bruna e Bruno Giacosa nella loro cantina di Neive (CN)

Bruna e Bruno Giacosa nella loro cantina di Neive (CN)

Basta ricordare, ad esempio, che Bruno Giacosa non ha imbottigliato nessun Barolo e Barbaresco in annate sulla carta di alto livello come 2006 e 2010: il caso ha fatto chiaramente discutere, ma non c’è stata nessuna ripercussione sulla reputazione degli altri nebbiolo di Langa pari millesimo. In altre situazioni le cose vanno al contrario, con inevitabili scontri dialettici tra i protagonisti. Del resto sulla questione ci sono ottimi argomenti per qualsiasi posizione: da una parte è fuori discussione che, per dare valore alle cose migliori del proprio lavoro, talvolta è necessario mettere da parte quelle meno riuscite. Dall’altra, però, ha ragione anche chi sostiene che un vero vigneron deve confrontarsi con qualsiasi tipo di annata, provando a fare il meglio e rispettandone il carattere. Da una parte viene messo al centro il prodotto, che non può prescindere da determinati standard qualitativi ed espressivi, dall’altra si enfatizzano le ragioni del vino inteso come documento materiale, testimonianza anche di una memoria meteorologica e geografica. Impossibile stabilire dove pende la bilancia.

Crediti foto: zeonicom.forumfree.it

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3. Quelli che si incazzano (per usare un eufemismo). Ci vorrebbero parecchi bip per documentare le testimonianze dirette, affidate in primis a twitter e facebook , condivise da tanti viticoltori italiani durante questa lunghissima stagione 2014. Fatto per molti versi inedito, anche perché sono in tanti a pensare che in questo modo c’è il rischio di darsi un po’ la zappa sui piedi: se hai imprecato per sei mesi contro giove pluvio e compagnia, come fai poi a convincere i tuoi clienti che vale lo stesso la pena di acquistare i vini dell’annata?
Chi ragiona in questo modo, e di solito non lo dice apertamente, fondamentalmente considera ancora operatori e consumatori come sprovveduti che si imboccano qualsiasi storiella gli venga raccontata. E non realizzano un’altra implicazione: il viticoltore imprecante sui social sta dicendo ai suoi estimatori che in certe vendemmie puoi inventarti quello che vuoi, lavorare il triplo in vigna, ridurre al massimo le rese, però se piove ininterrottamente per un anno e ti arriva pure il colpo di grazia nei giorni di raccolta, c’è ben poco che tu possa fare. E questo, forse, sarà ricordato e apprezzato al momento di pianificare gli ordini.

4. Quelli che si incazzano che gli altri si incazzano (per riusare un eufemismo). Cornuti e mazziati, verrebbe da dire, pensando al trattamento spesso riservato ai produttori imprecanti dai loro colleghi. Che a loro volta scendono in campo per precisare che no, per loro è una bella annata (vedi prima tribù), che non si può fare di tutta l’erba un fascio e che rischiano di essere danneggiati da report frettolosi. Fin qui tutto bene, se non fosse che in alcuni casi la contrapposizione prende toni surreali, del tipo «da te l’annata è cattiva perché non sai curare la vigna, non ti impegni abbastanza, non sai fare il tuo lavoro e non muovi il sederino». E controrisposte dal tenore montezumico, per la serie «ti auguro tre mesi di tempeste e grandinate, poi vienimi a dire se il tuo sederone ha fatto il miracolo». Quando poi sono donne di vigna a buttarsi nell’arena, vi assicuro che lo spettacolo può toccare vette insperate per i lurkatori di professione assetati di sangue. Quelli che si fermano a guardare gli incidenti sull’altra corsia dell’autostrada, per capirci.

Crediti foto: vegamami.it

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5. E’ come la 1984 o la 2002, non comprerò niente. C’è da dire che la precedente tribù non ha proprio tutti i torti. Non è facile avere a che fare con giornalisti, operatori e consumatori che, ancor prima di aver assaggiato un singolo bicchiere della 2014, già hanno deciso che è da scartare totalmente a priori. Meccanismo che abbiamo conosciuto bene con la vendemmia 2002, indubbiamente difficilissima in tante zone, ma non in tutte e comunque non allo stesso modo, bottiglie alla mano. I preconcetti esistono ancora, eccome, anche nella comunità dei presunti esperti e per tante aziende producono effetti reali, nel momento in cui si traducono in valutazioni più basse, ordini ridimensionati e cose così. Credo che la strada sia lunga da questo punto di vista e molto aiuterebbe una comunicazione da parte dei produttori più intellettualmente onesta e meno autoreferenziale. Vale sul piano individuale e ancor di più su quello collettivo: se tutte le annate sono sempre a 4 o 5 stelle, difficilmente sarà valorizzata a pieno la vera grande vendemmia e il “patto informativo” con gli appassionati tarderà ulteriormente a consolidarsi.

Crediti foto: svsport.it

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6. Chi non compra i 2014 non è un vero appassionato, i produttori vanno aiutati soprattutto nelle annate difficili. Anche questa è una tribù di recente formazione, che unisce soprattutto consumatori e appassionati consapevoli e “militanti”. Quelli che hanno molto ben chiari i propri gusti, che pianificano gli acquisti a lunga gittata e non rinunciano quasi mai ai vini dei loro produttori del cuore. Fanno da alter ego e controcanto al gruppo precedente, provando a logorarli ai fianchi con disciplina vietcong. Non è che lo lasciano intendere, lo scrivono chiaramente: «Sono buoni tutti a comprare solo i vini più famosi delle migliori annate, un vero appassionato è curioso, alla continua ricerca di cose nuove, non è un burocrate del gusto». Ma di solito non finisce qui. Il passo successivo può essere sintetizzato così: «Se ami veramente un vino e un produttore, non puoi abbandonarlo nei momenti più difficili solo perché pensi che la qualità può essere un po’ inferiore. Gli appassionati degni di questo nome comprano anche le annate piccole, perché se tutti facessero come te, tanti bravi vigneron sarebbero costretti a chiudere bottega, specie se curano piccole produzioni». E’ una tribù agguerritissima, che mostra la stessa determinazione di quelli segnalano alla comunità coloro che non si sono ancora prestati all’Ice Bucket Challenge, come se la solidarietà e le cause da sposare non fossero un fatto privato e personale. Di solito hanno la meglio sui più sensibili e su quelli che non vogliono troppe rotture di scatole. Finché un giorno, preso per sfinimento, ti tiri una secchiata in testa, fai un bonifico per la ricerca sulla Sla o ti chiedi passeggiando per strada: «Oddio, che penseranno di me i miei amici? Questa signora mi sta guardando male perché qualcuno gli ha detto che non volevo prendere i 2014 di Luigi Tecce…»

Crediti foto: cyonewkudo.wordpress.com

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7. CSI Wine, nucleo operativo attivato. Ma non bisogna dimenticare anche un altro team particolarmente attivo in queste settimane, che tiene insieme profili professionali e approcci al vino molto diversi. Sono gli Sherlock Holmes armati di cavatappi, persone che hanno avuto modo di conoscere in qualche modo l’ambiente dall’interno e ormai non si fidano più di niente e di nessuno. Sono quelli che immediatamente identificano una presenza varietalmente o territorialmente aliena nell’uvaggio, quelli che solo mettendo il naso nel bicchiere sanno dirti che lievito è stato usato, quale coadiuvante enologico, il grado di tostatura del legno, e mille altri dettagli. Tendenzialmente non credono a una parola di quello che gli viene raccontato, specie dai cosiddetti giornalisti che si bevono qualsiasi storiella dei produttori. Una vendemmia come la 2014 diventa il loro luna park: «sai quanto mosto concentrato, sai quante cisterne, sai quanto merlot in quel sangiovese, sai quanto acido ascorbico, sai quanti tannini aggiunti, sai quanto vino del 2013 e del 2015 ci finisce dentro, eccetera eccetera». E’ già pronta la loro task force, insomma, per scovare le innumerevoli magagne a cui tanti produttori sicuramente ricorreranno secondo loro per portare a casa l’annata: potrete seguire le loro sofisticate indagini su diversi blog, forum e gruppi di discussione. Con due esiti di segno opposto. Pensare male si fa peccato ma molte volte ci si azzecca, diceva Andreotti, e tra tante paranoie senza riscontri oggettivi ogni tanto saltano fuori casi molto ben documentati che danno ragione ai più sospettosi. Peccato, però, per il bravo e fortunato vigneron capace di tirar fuori con le sue sole forze un grande vino dal 2014, obbligato a sopportare in certi ambienti gli occhi addosso di chi è sicuro che, se è davvero così buono quel vino, deve essere per forza taroccato.

Crediti foto: pierosini.com

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8. Ah Ah Ah, voglio proprio vedere come fanno i bioqualcosa questa volta (segue comunicato Assoenologi). E’ soltanto una variante della tribù precedente, appena più targetizzata dal punto di vista formativo. Scetticismo e sospetto cedono il passo quando le cose si mettono male ad un vero e proprio “gongolamento”: se è vero che il vino lo fa solo la natura, non mancano di rimarcare, se è vero che l’uomo è un attore marginale che deve intervenire meno possibile, ci dite come è possibile tirar fuori bottiglie decenti da un’annata come la 2014? Il loro bersaglio non troppo nascosto sono in primo luogo gli esponenti più in vista del movimento “bioqualcosa”, che dal loro punto di vista predicano bene e razzolano male. Per loro è pressoché inconcepibile portare in cantina uve sane e mature in stagioni così difficili senza ricorrere a soluzioni “robuste”, senza tanta poesia. Pertanto due sono le opzioni: o i protocolli biologici e biodinamici sono adottati con elasticità oppure si perde l’annata, se non nelle quantità almeno nel risultato finale. E in questo caso se la sono semplicemente cercata, è il sottotesto. Ma ne hanno anche per i giornalisti e gli assaggiatori più vicini da un punto di vista critico ed estetico all’universo “naturale”. Li considerano in linea di massima dei cialtroni incompetenti ed ideologizzati, che spacciano evidenti difetti come tipicità e carattere, non sanno riconoscere il brett e le ossidazioni, non capiscono che il vino buono non può nascere se non dalla scienza e dalla tecnica, altro che fesserie esoteriche alla Steiner e supercazzole sulla consapevolezza stilistica o la spigliatezza espressiva. Quasi mai trovano il tempo (o il coraggio) di contestare apertamente e direttamente nel merito le opinioni e gli interlocutori che disistimano così profondamente. Il contraddittorio non è contemplato se non con pari grado per percorsi e titoli di studio: molto meglio stringersi in una scelta corporativa e affidarsi a canali mediatici più ricettivi nell’alimentare l’aura cool dell’enoscienziato. Se il messaggio non fosse abbastanza chiaro, basta recuperare e rileggere con attenzione il comunicato stampa sull’annata 2014 approntato da Assoenologi e rilanciato da televisione, stampa e testate online nelle ultime settimane (link).

 

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L'Autore

Paolo De Cristofaro

Paolo De Cristofaro

Irpino classe 1978, lavora a tempo pieno nel mondo del vino dal 2003, dopo la laurea in Scienze della Comunicazione e il Master in Comunicazione e Giornalismo Enogastronomico di Gambero Rosso. Giornalista e autore televisivo, collabora per numerose guide, riviste e siti web, tra cui il blog Tipicamente, creato nel 2008 con Antonio Boco e Fabio Pracchia. Attualmente è il responsabile dei contenuti editoriali del progetto Campania Stories, nato da un’esperienza ultradecennale nell’organizzazione degli eventi di promozione dei vini irpini e campani con gli amici di sempre. Dal 2013 collabora con la rivista e il sito di Enogea, fondata da Alessandro Masnaghetti.
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