Proprio una strana estate, questa. Per qualcuno mai iniziata davvero, simbolicamente castrata sul nascere dal fallimento della spedizione azzurra in Brasile (e per fortuna che c’è Vincenzo Nibali…), ma più seriamente spenta negli entusiasmi da una crisi economica ed umana più mordente che mai. Venti di guerra che spirano ben oltre Gaza e Crimea e sembrano riflettersi nel meteo impazzito, dovuto all’instabilità dell’Anticiclone delle Azzorre, senza il quale non c’è la tipica estate mediterranea. E’ ancora presto per dire qualcosa di sensato sulla vendemmia che sarà, ma i vigneron campani (e non solo loro) sono costretti da settimane a condurre un vero e proprio corpo a corpo, tra trombe d’aria, grandinate e attacchi di peronospora tra i più virulenti di sempre. Anche in alcune delle zone storicamente più vocate, i capricci della stagione 2014 si stanno facendo sentire in maniera talvolta irreversibile: non si produrrà uva su intere colline, in altre aree sarà necessario un durissimo lavoro di selezione.
Non c’è niente di più serio del gioco, diceva il saggio. E non è un caso, secondo me, se questa atmosfera spesso tetra e depressiva si respiri anche negli spazi teoricamente deputati esclusivamente ad evasione e alleggerimento. Insieme al sole, nell’estate 2014 sembrano spariti tutti i classici tormentoni stagionali: Belèn si è acquietata, la love story tra Buffon e la D’Amico non appassiona, piedi e gambe auto immortalati come hot dog sulla spiaggia li abbiamo già visti nel 2013 e perfino Studio Aperto fatica a riempire la scaletta. Per non parlare della tristezza musicale: tanti tentativi loffi ma nulla che possa neanche lontanamente candidarsi a raccogliere l’eredità liberatoria di un asereje *, di un vamos a bailar esta vida nueva * o di un sole cuore amore *. Una stitichezza creativo-fuffaiola a cui non sfugge nemmeno il mondo del vino: dopo un paio di lustri non sembra più l’estate del rosato, ma non se la passano meglio le bollicine autoctone e il rosso da bere fresco sul pesce, senza che una nuova “tendenza” riesca a prendere il posto dei ritornelli più in voga nel recente passato.
Data però la mia proverbiale incapacità di “stare sul pezzo”, eccomi qua a recuperare il buon umore davanti ad una bottiglia per molti versi cool fuori tempo massimo. Qualche giorno fa col buon Mauro abbiamo fatto visita a Pasquale Mitrano ed Elisabetta Iuorio, proprietari dell’azienda Casebianche, in vista di un approfondimento territoriale dedicato ai Colli di Salerno e al Cilento, che potrete leggere se vorrete sulle pagine di Enogea *. Ed è stato subito amore a prima vista con l’ultimo nato nella piccola cantina di Torchiara. Il Fric (la c finale è quella di cielo) mette allegria al solo nominarlo, non solo per l’onomatopeico richiamo al suono delle bollicine, quanto per la verve empatica e spensierata che parla dal primo all’ultimo bicchiere.
Da un punto di vista “burocratico” è un Paestum Aglianico Rosato Frizzante Secco Biologico Igp, nella pratica è un aglianico millesimato rifermentato in bottiglia con l’aggiunta di mosto nel vino base, senza impiego di zuccheri o sciroppi, lieviti e anidride solforosa all’imbottigliamento. Un procedimento molto simile a quello adottato per il La Matta, da uve fiano, che è stato uno dei primi esperimenti campani di metodo classico “integrale”, commercializzato senza l’eliminazione dei residui di fermentazione, come accade nella tradizionale tipologia di Prosecco detta “Colfondo”. Partito come un divertissement, ispirato anche dalle tante frequentazioni di amici produttori conosciuti in occasione delle fiere dedicate al movimento “naturale”, Pasquale ed Elisabetta hanno presto dovuto fare i conti con un notevole riscontro critico e commerciale. La Matta è diventata quasi l’etichetta simbolo dell’azienda, incoraggiando i Nostri a passare dalle poche bottiglie delle prime uscite alle circa 6.000 della versione 2013.
Ma torniamo al Fric, presentato in primavera e già praticamente esaurito in cantina. Come detto mi ha letteralmente stregato, ma trovo complicato spiegarne le ragioni in una chiave esclusivamente tecnica o valutativa. C’è qualcosa in questo strano aglianico frizzante che mi tocca delle corde emozionali totalmente personali e mi impediscono di centellinare il bicchiere. Un Poulsard di Pierre Overnoy con le bolle, urlava il cervello (o quel che ne rimane) a un certo punto, probabilmente per le suggestioni ematiche e i chiaroscuri inconfondibili che lo accomunano ad uno dei miei vini del cuore, tanto fragile e scarnificato all’apparenza visiva quanto infiltrante nel sorso e marmoreo nella sfida col tempo. Un’impronta riduttiva che rapidamente cede il passo a suggestioni decisamente più gioiose e solari: mandarino in primis, erba bagnata e tanti tanti tanti fiori. Pieno, cremoso, saporito, condisce e contemporaneamente pulisce nel centro bocca, rinvigorendosi nel finale secco, ammandorlato ma mai amaro. Mi sarebbe piaciuto farne abbondante scorta per goderne ancora non solo nelle calde serate di agosto (sembra che ci saranno), ristapparlo per una merenda e giocarci a tavola con almeno una trentina di possibili accompagnamenti, impepata di cozze comprese.
Una bottiglia che soprattutto non rischia di stancarmi mai, a differenza di quel che accade con tante meteore estive, destinate a durare solo il tempo di una stagione. Sui 12 euro in enoteca.
Fattoria Casebianche
Indirizzo: Contrada Case Bianche, 8 – Torchiara (SA)
Telefono: +39 0974 843244
Sito Internet: www.casebianche.eu
Email: info@casebianche.eu
Superifice aziendale vitata: 5,5 ettari
Produzione annua (media): 30.000 bottiglie
Visite e vendita diretta in azienda (su prenotazione)