Nei confronti dei concorsi enologici continuo a nutrire da tempo un sentimento ambivalente: da un lato ne apprezzo l’opportunità di ricognizione e di verifica, dall’altro ne soffro i limiti di superficialità e omologazione. Ma non è questa la sede per approfondire il discorso. Dirò solo che una ventina di giorni fa sono partito per Bruxelles con questo fardello di perplessità, convocato a rimpolpare la già ben nutrita giuria (circa trecento elementi) di un concorso enologico tra i più importanti, il Concours Mondial de Bruxelles *.
In tutta franchezza, l’esperienza in sé non mi ha aiutato a sciogliere le perplessità, che sono al contrario perfino amplificate dalla pubblicazione della lista dei vini premiati e medagliati. Mi ha però offerto l’occasione, del tutto fortuita, di tornare ad affacciarmi sul vivace panorama delle birre a fermentazione spontanea, complice la concomitante Quintessence della Brasserie Cantillon *.
Talvolta accade: parti per le Indie e ti ritrovi a scoprire l’America, mangi casualmente una banana davanti a una scimmia e ti imbatti nei neuroni specchio. Ecco, una sorta di analoga serendipità * si è verificata mentre con l’amico e collega Giuseppe Carrus, che al confronto tra vino e birra ha peraltro già dedicato a più riprese interessanti considerazioni * , ci siamo ritrovati tra le botti del Museo della Gueze, ad assaggiare i diversi cru di Cantillon.
Come è facile immaginare, la congestionata e anarchica convivialità di Quintessence era il contraltare ideale del Concours Mondial e si prestava assai bene a funzionare da detonatore per le questioni che accennavo sopra. In particolare, si prestava a esaltare le contraddizioni di un sistema di valutazione del vino affidato a degustazioni anonime, consegnato a schede di assaggio per più aspetti anacronistiche e in ultima analisi fondato su un’idea di expertise che lascia del tutto sullo sfondo la relazione tra un vino e il suo luogo di origine (la strapazzata nozione di territorio), restando per contro nell’orbita esclusiva della sua confezione enologica, della sua presunta correttezza formale.
Ma lo ripeto: il terreno di simili obiezioni è assai insidioso e non è qui che intendo andare a parare. Piuttosto, vorrei insistere sulle coinvolgenti sensazioni stimolate dall’incursione nel regno delle lambic *, considerate da più parti come l’anello di congiunzione tra il mondo brassicolo e quello vinicolo. Qualcosa di quel blitz mi è riaffiorato alla coscienza una decina di giorni fa, mentre sgomitavo tra i banchi di assaggio di Dinamiche Bio *.
Ero alla postazione di Podere Veneri Vecchio e degustavo la versione 2010 del Frammenti di Terra di Raffaello Annicchiarico: uno Sciascinoso da vigne nell’agro di Castelvenere, fermentato con lieviti indigeni, lungamente macerato sulle bucce, affinato per circa un anno in botti tronco-coniche in castagno, poi imbottigliato senza filtrazioni né chiarifiche e senza aggiunta di additivi o correttivi di sorta. E davanti a questo rosso così selettivo e “selvatico”, che all’attacco dei profumi sembra proprio una lambic, ripensavo alle fermentazioni spontanee e alla trama di analogie e differenze tra vino e birra esplorata nell’incursione da Cantillon.
Con quell’acidità volatile al limite del livello di guardia, con quel tocco di menta selvatica a stemperare la rusticità dei profumi, con quella bocca un po’ “arruffata”, ma dal sapore incisivo e dal finale intensamente persistente, Frammenti di Terra propone un’insospettata apertura alla vitalità espressiva di certe lambic a fermentazione spontanea. Scommetto che semmai venisse assaggiato dai commissari di un qualsiasi concorso enologico, resterebbe lontano dalla zona medaglia. Però si fa bere di gusto, come uno Sciascinoso più “scioccante” che chic.
Tra i 15 e i 18 euro in enoteca.
Podere Veneri Vecchio
Indirizzo: Contrada Foresta, Via Veneri Vecchio, 1 – Castelvenere (BN)
Telefono: +39 340 5869048
Sito Internet: www.venerivecchio.com
Email: commerciale@venerivecchio.com
Superficie aziendale a vigneto: 4 ha
Visite e vendita diretta in azienda
* lo sappiamo che si dice i lambic, al maschile, ma noi continueremo a considerarle birre “femmine”, che si sappia – ndr
Crediti foto di apertura: www.gustodivino.it