Io e il tom tom non abbiamo un bel rapporto. Lui, con voce da lei, mi consiglia strade che sistematicamente ignoro e il simpatico aggeggio si vendica sadicamente mandandomi per vicoli ciechi e mulattiere sterrate quando decido di dargli retta. Sembriamo Sandra e Raimondo in Casa Vianello ma come loro, alla fine, ci vogliamo bene perché entrambi coltiviamo il salvifico piacere di perderci e ritrovarci là dove non dovremmo essere.
Ecco come si finisce, in ritardo ma felici, sul Passo della Sentinella, SS 166 degli Alburni, prima di raggiungere il delizioso borgo di Sant’Arsenio. Non è certo la strada più rapida o agevole, ma la rifarei dieci volte su dieci se dovessi muovermi dalla costa cilentana, mettiamo da Agropoli, in direzione Vallo di Diano.
Si arriva ai 980 metri di altitudine del valico con ancora negli occhi la bellezza meno stereotipata possibile del Getsemani * sopra Capaccio, dei canyon creati dal fiume Fasanella che si ammirano da Bellosguardo, delle curve che picchiano su San Pietro al Tanagro. Solo da queste strettoie ci si rende conto di quanto sia unico il Cilento e per molti versi sconosciuto ai suoi stessi abitanti. Solo sbirciando da mezzo ai boschi si afferra il senso e la sintesi di un possibile terroir, non esclusivamente vinicolo.
Il Vallo di Diano
Già, perché questo altipiano collocato nel settore meridionale della provincia di Salerno, al confine con la Basilicata, è parte integrante del Parco Nazionale, riconosciuto come patrimonio dell’umanità dell’Unesco nel 1998. Tiene insieme 14 comuni e circa 60.000 abitanti, ma le presenze annuali sono molte di più, grazie alla quota di pendolari provenienti da zone limitrofe e a quella non così piccola di turisti che arrivano qui per visitare soprattutto le Grotte di Pertosa * e la Certosa di Padula *. Il comprensorio è stato indubbiamente favorito dal tragitto dell’Autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria, che lambisce alcuni dei suoi centri più significativi, tra cui Polla, Atena Lucana, Sala Consilina, Buonabitacolo. Ma il Vallo di Diano è sempre stato un luogo di passaggio e di scambio, il che spiega perché resta in ultima analisi uno dei distretti più “ricchi”, o meno poveri a seconda dei punti di vista, del Cilento interno. C’è qualche insediamento industriale, ma nel sistema economico gioca ancora un ruolo di primo piano l’agricoltura. Circondato da montagne imponenti, il fertile altopiano può contare su una ricca disponibilità di sorgenti e corsi d’acqua, che alimentano una vocazione segnalata nell’ampio paniere di prodotti ortofrutticoli, dal carciofo bianco di Pertosa alla cipolla di San Pietro al Tanagro, passando per la patata di Sant’Arsenio e la fitta rete di uliveti.
Nonostante la consolidata tradizione agricola, la vigna occupa una porzione a tutti gli effetti marginale: prima dell’epidemia fillosserica c’erano interi costoni riservati ai filari, oggi sono censiti poco più di 20 ettari in circa 800 chilometri quadrati di territorio. Eppure diversi tecnici e addetti ai lavori sono pronti a scommettere su un nuovo sviluppo della vitivinicoltura nel Vallo di Diano, anche in virtù di quel lento ma progressivo movimento che sta spostando l’asse produttivo della provincia di Salerno verso sud e verso l’interno, alla ricerca di escursioni termiche più pronunciate e maturazioni più graduali. Le condizioni favorevoli non mancano da questo punto di vista: la parte pianeggiante si colloca intorno ai 450 metri sul livello del mare, ma appena ci si sposta in collina, le altitudini superano regolarmente i 500 metri e in qualche caso sfiorano i 600. La base geologica è rappresentata dai complessi carbonatici tipici delle montagne cilentane, che negli strati superficiali si mescolano ad arenarie e marne, con buona presenza di scheletro. E’ una zona piuttosto umida, che deve spesso fare i conti con grandinate estive e nebbie autunnali, ma nei pendii meglio esposti e ventilati si riescono a plasmare materie prime molto interessanti sul piano della maturazione zuccherina e fenolica, oltre che ben dotate da un punto di vista acido e aromatico. Le parcelle sono molto sparpagliate e la varietà più coltivata al momento è l’aglianico, vendemmiato solitamente tra la seconda metà di ottobre e la prima settimana di novembre.
La famiglia Pica e il Tempere
Naturalmente è troppo presto per dire se si potrà aggiungere una nuova casella nella mappa dei terroir campani di interesse, anche perché ad oggi ci sono soltanto un paio di cantine operative in tutto il comprensorio, la più caratterizzata delle quali è senza dubbio quella creata dalla famiglia Pica a Sant’Arsenio. Se ne occupano i fratelli Arsenio e Giuseppe, che hanno ereditato dei terreni agricoli alla morte del padre Filippo, nel 1997, arrivando con successive acquisizioni a mettere insieme circa due ettari e mezzo di vigne, coltivate interamente ad aglianico (1997, 2003, 2010 e 2012 gli anni dei vari impianti).
Dopo una serie di vendemmie sperimentali, destinate perlopiù all’autoconsumo, nel 2006 si concretizza l’idea di imbottigliare con un proprio marchio, per l’appunto Pica, cominciando con un’unica etichetta, l’aglianico Tempere. Letteralmente “re Tempe” (proveniente da Le Tempe), toponimo della parte collinare di San Pietro al Tanagro che guarda San Rufo, intensamente sfruttata da vigneti e uliveti fino agli anni ’30. Circa 8.000 bottiglie annue, che sfioreranno le 10.000 quando entrerà in produzione l’ultima parcella realizzata nel 2012, e a cui potrà forse aggiungersi un Fiano, da piantare sempre a San Pietro al Tanagro ma ancora più in alto, intorno ai 550 metri di Monte Roro.
In cantina mi accoglie il giovane e appassionato Filippo, figlio di Giuseppe e nipote di Arsenio, che in estate cura anche le attività del bel punto vendita-enoteca, dove è possibile organizzare serate a tema, aperitivi, degustazioni, accompagnandole con salumi e formaggi locali. Diventa una preziosa occasione per riassaggiare tutte le annate finora imbottigliate del Tempere, prodotto con macerazioni in acciaio a temperatura controllata di 15-20 giorni, a cui segue un anno circa di affinamento in tonneau vecchi, un altro in rovere di Slavonia da 25 ettolitri e almeno dodici mesi ancora in bottiglia prima della commercializzazione.
La degustazione
Parlare di “verticale storica” con solo quattro annate a disposizione suona quanto meno forzato, però questa piccola retrospettiva si rivela già abbastanza utile per delineare un primo identikit espressivo del Rosso di casa Pica. La domanda centrale, specie di questi tempi è una: che cosa aggiunge il Tempere, se aggiunge, nel panorama degli Aglianico campani?
L’aspetto più interessante, almeno dal mio punto di vista, è il modo con cui si propone quasi come un ideale punto di congiunzione tra le atmosfere più rigorose ed austere di Taburno, Irpinia e Vulture con quelle più solari e rigogliose del Cilento costiero. C’è esuberanza materica e maturità di frutto, ma non mancano contrappunti boscosi e balsamici, incastonati in un vigoroso scheletro verticale e salino. Se non fosse un ossimoro, lo si potrebbe descrivere come un Taurasi più gentile e disponibile, da approcciare senza tanti pensieri grazie a tannini più dolci e risolti rispetto a quelli che troviamo di solito nelle aree interne. Un profilo sobrio senza diventare algido, aiutato anche da un’alcolicità misurata: in annate decisamente calde ed asciutte come la 2006 e la 2007, le gradazioni non hanno superato i 13,5%. Mi sembra un dato su cui ragionare, considerando come negli ultimi anni gli Aglianico coltivati in zone decisamente più “classiche” hanno spesso raggiunto l’ideale maturazione polifenolica in corrispondenza dai 14,5-15%.
Ma una carta importante da giocare il Tempere ce l’ha anche in una prospettiva commerciale: nel punto vendita di Sant’Arsenio è possibile acquistare tutte le annate a prezzi compresi tra gli 8 e i 10 euro. Perfino troppo poco per un vino che segue praticamente il percorso di affinamento di un Taurasi o un Aglianico del Taburno Riserva prima della sua uscita sul mercato, con due anni in legno e un altro in bottiglia. Se vi è venuta la curiosità di assaggiarlo, insomma, il vostro portafogli potrà assorbire il colpo senza grandi traumi…
Tempere 2006
Prima uscita per l’aglianico della famiglia Pica, figlio di una vendemmia fin troppo “sudista” e generosa. Premesse segnalate da un naso terziario di prugna in confettura, cioccolato bianco, con il rovere non completamente integrato. Più contraddittoria la bocca, avvolgente e rilassata in ingresso, più contratta nel finale per effetto di un tannino leggermente sabbioso.
Tempere 2007
Altra annata precoce e siccitosa, interpretata con maggiore coerenza espressiva. Humus, sottobosco, ribes nero, cuoio, liquirizia: non è un vino di dettagli ma il profilo caldo e maturo incontra un sorso cremoso e di bella tessitura tannica, senza forzature estrattive. Manca forse un po’ di scheletro verticale e tensione, ma la chiusura è precisa, con un pregevole tocco terroso e speziato.
Tempere 2008
Senza dubbio la migliore riuscita finora, quella in cui si segnala con maggiore evidenza la doppia anima terragna e mediterranea a cui facevo riferimento in precedenza. Un po’ restio a concedersi inizialmente, la sosta nel bicchiere lo aiuta a liberare sensazioni di frutto rosso fresco, arricchite da radici, terra mossa, pepe verde, origano secco. Il tannino è scalpitante ma mai asciugante, c’è forza motrice salina e vitalità, senza ridondanze muscolari e gliceriche. Migliora e si assesta armonicamente minuto dopo minuto, trovando ulteriori approfondimenti aromatici nei fiori e nelle erbe da cucina.
Tempere 2009
Sappiamo tutti quanto sia stato complicato il millesimo 2009 per le varietà tardive campane e il Tempere non fa eccezione. Il quadro aromatico è piuttosto cupo e autunnale, con tracce vegetali ad incunearsi nei richiami di frutta sotto spirito, cortecce e perfino suggestioni ematiche. L’attacco gustativo è rilassato ma nel centro bocca viene a mancare grip e sapore, lasciando un po’ troppo scoperto il tannino. E’ una buona versione in rapporto all’annata, ma non certo il miglior Tempere possibile.
Gli assaggi in botte
Il 2010 che sta per essere imbottigliato si configura come il più “sottile” e verticale tra i Tempere finora prodotti, là dove il 2011 e il 2012 sembrano destinati per molti versi a ricalcare le orme dell’accoppiata 2007-2008. Occhio anche al 2013, legato agli umori di una vendemmia più capricciosa eppure già molto promettente grazie alla sua martellante energia sapida.
Pica
Via San Sebastiano, 7 – Sant’Arsenio (SA)
Tel. +39 0975 399350
Sito Internet: www.vino-tempere.it
Superficie aziendale vitata: 2,5 ettari
Produzione annua (media): 8.000 bottiglie
Visita e vendita diretta in azienda