Prima di diventare scrittore, Raffaele La Capria è stato un tuffatore a livello agonistico. E nelle pagine di Letteratura e salti mortali ricorda che la sua idea di letteratura si è formata proprio quando faceva le gare di tuffi per il Circolo Nautico Posillipo. Le analogie tra il mestiere del tuffatore e il lavoro di chi scrive sono sorprendenti e vengono esplorate qui da La Capria con estrema competenza e ricchezza di esempi. In particolare, mi colpiscono le sue riflessioni sul «collegamento molto stretto, immediato, tra la bellezza del tuffo e il pericolo che si corre».
Ho l’impressione che questo nesso sia decisivo anche nel caso del vino. Come un tuffo riuscito e una pagina felice, così anche un vino capace di emozionare comporta spesso scelte arrischiate. In questa prospettiva, tanto i richiami a “lasciar fare la natura” quanto le scorciatoie interventiste di molta enologia contemporanea, affannata nella rincorsa a sanare preventivamente ogni eventuale difformità e anomalia, mi sembrano altrettanto fuorvianti.
Ma più ancora mi impressiona la pertinenza dell’accostamento al vino nel caso di un’altra importante analogia tra tuffi e letteratura. Scrive La Capria:
«Un tuffo se è troppo difficile […] diventa o può diventare una faccenda in cui entra troppo la tecnica e il muscolo, ed è raro allora che incontri la grazia e la bellezza. Così in letteratura, i giochi troppo evidenti di abilità, le complicazioni esibite di struttura e i manierismi del linguaggio, le difficoltà da triplo salto mortale di certi avanguardismi e di certo sperimentalismo, difficilmente raggiungono quel giusto equilibrio tra senso comune e senso estetico (tanto per intendersi) cui dovrebbe attenersi uno scrittore».
Non accade forse lo stesso anche nel vino? Quanta tecnica, quanti manierismi artificiosi, quanto gratuito sfoggio di muscolarità; ma anche quanta sciatteria spacciata per avanguardia, quante sprezzature fuori controllo, quante scelte involute e cerebrali. Poi, però, come d’incanto, «incontri la grazia e la bellezza».
«Dunque il tuffo è un “tour de force” come tante opere letterarie, pensavo, ma deve avere ancora una qualità per essere veramente un bel tuffo: deve essere eseguito, quale sia la difficoltà, con “souplesse” come diceva il mio allenatore, con dolcezza come sentivo io, e con grazia. Senza sforzo, e se lo sforzo c’è, non deve apparire».
In queste pagine, a mio giudizio tra le più persuasive, La Capria richiama «il salto mortale e mezzo in avanti carpiato con avvitamento» dal trampolino di tre metri: «questo tuffo corrisponde ancora oggi a ciò che più ammiro in letteratura». E lo avvicina alla misteriosa facilità di un racconto di Cechov, La steppa, dove tutto sembra facile e spontaneamente animato, anche in presenza di un alto coefficiente di difficoltà.
C’è un vino irpino che mi fa pensare a questo tuffo: l’Irpinia Campi Taurasini Satyricon 2010 di Luigi Tecce. Anche qui la qualità «nasce da un’apparente disarmonia, da una complicazione dominata proprio nel momento in cui sembra assecondata»; anche qui lo sforzo c’è (chiedete a Luigi delle difficoltà incontrate nel vendemmiare l’aglianico a inizio novembre) ma non appare. La sua souplesse è innervata di tensione gustativa e animata da contrasti di sapore, la sua elaborata contorsione si lascia cogliere come uno slancio spontaneamente aggraziato, di incantevole naturalezza espressiva. E il finale è senza spruzzi, ma va giù che è una bellezza.
Intorno ai 20 euro in enoteca.
Azienda Luigi Tecce
Indirizzo: Via Trinità, 6 – Paternopoli (AV)
Telefono: +39 349 2957565
Email: l.tecce@libero.it
Ettari totali di vigneto: 5 ha (4 di proprietà)
Bottiglie annue prodotte (media): 10.000
Visite in azienda: solo su appuntamento
Vendita diretta: no
ndr: un salto mortale e mezzo carpiato con avvitamento dal trampolino di tre metri si fa così: video